A oggi non esiste una definizione univoca e universalmente accettata di cosa effettivamente s'intenda con il termine "hikikomori". In molti lo chiamano semplicemente "isolamento sociale", ma è evidente che tale definizione non sia in grado di rappresentare a pieno le caratteristiche peculiari di questa nuova e diffusissima dinamica psicosociale. Sì, perché "isolamento sociale" può essere anche quello degli anziani o di una persona con un disturbo psicotico grave; condizioni che però non hanno nulla a che vedere con l'hikikomori.
Dopo anni di ricerca e di studio del fenomeno, sono giunto alla conclusione che i termini che meglio lo descrivono sono in particolare cinque, ovvero "ritiro sociale volontario cronico giovanile". Ognuno di questi ha una sua importanza fondamentale.
Ritiro sociale
L'isolamento sociale può essere considerato il sintomo più caratteristico della condizione hikikomori. Il soggetto infatti tende a nascondersi da tutto e da tutti, spesso persino dai propri genitori, preferendo vivere durante la notte. Tuttavia, l'espressione "isolamento" potrebbe anche trarre in inganno se interpretato come una condizione che si subisce passivamente. L'isolamento degli hikikomori ha infatti la caratteristica di essere vissuto come una scelta personale e, di conseguenza, sarebbe più appropriato utilizzare l'espressione "ritiro", termine che indica una maggiore componente di attività.
Attenzione però: non si commetta l'errore di considerare gli hikikomori come dei moderni eremiti, poiché il loro ritiro non ha nulla a che vedere con la spiritualità, bensì viene innescato come meccanismo difensivo (disfunzionale) in risposta alle difficoltà adattive sociali.
Volontario
Cronico
Giovanile
Gli hikikomori sono solo adolescenti o giovani adulti? No, esistono molti hikikomori che hanno anche più di quarant'anni, soprattutto in Giappone dove il fenomeno si è manifestato finora in modo più aggressivo e precoce rispetto che nel resto del mondo. Eppure è innegabile che la maggior parte degli hikikomori inizi il proprio isolamento durante l'adolescenza o nel periodo post diploma: ciò significa che il problema è fortemente legato alle dinamiche psico-evolutive.
L'hikikomori infatti sembra rimanere un eterno adolescente, fallendo lo step evolutivo psicologico di transizione dall'età infantile a quella adulta. Tale step non è infatti automaticamente legato all'età anagrafica e dunque potrebbe anche non avvenire mai. Ciò può dipendere anche dallo stile educativo dei genitori: se troppo protettivi, rischiano di interferire con il fisiologico processo di sviluppo cognitivo del figlio, limitando o annullando la sua capacità di costruire un'identità separata da chi lo ha generato e cresciuto.
Anche a quaranta, cinquanta o sessantanni, il rapporto tra un hikikomori e i genitori conserva dunque molte delle dinamiche tipiche dell'adolescenze, soprattutto una grande co-dipendenza caratterizzata però anche da una forte conflittualità.
Conclusioni
Si potrebbero accostare altri termini ai cinque descritti: uno su tutti, il riferimento al genere. Il fenomeno infatti riguarda per la stragrande maggioranza uomini ed è quindi evidente che il ruolo di genere abbia un grande impatto nella dinamica del ritiro. Sarebbe tuttavia forzato aggiungere il termine "maschile" alla definizione, poiché rischierebbe di far credere che una donna non possa sprofondare nella dinamica dell'isolamento tipica dell'hikikomori.
Potrebbe essere anche utile un termine che faccia riferimento alla plusdotazione, dato che sembra esserci una forte sovrapposizione tra hikikomori e alto funzionamento cognitivo. Anche l'abuso di internet e, in particolare dei videogiochi, sembra essere una componente spesso frequente nei casi di ritiro sociale volontario, eppure non in tutti i casi. Stesso discorso per l'iper-moralità, un tratto tipico dell'autismo che genera una forte rigidità e una conseguente incapacità di trovare un compromesso con la società.
Dunque, in conclusione, ritengo che "ritiro sociale volontario cronico giovanile" sia l'espressione che meglio riesce a racchiudere l'essenza e a descrivere la condizione vissuta dagli hikikomori. Il mio invito è dunque quello di cominciare a utilizzarlo tutte le volte che vi si fa riferimento.