In Giappone ci sono circa 1,5 milioni di hikikomori: questo il dato emerso dall'ultimo sondaggio nazionale condotto nel novembre 2022 dal governo giapponese. I numeri sono in aumento rispetto alle rilevazioni precedenti e la causa sembra essere soprattutto legata al Covid-19: circa un quinto dei partecipanti allo studio infatti ha dichiarato che il proprio isolamento è stato determinato da alterazioni nello stile di vita riconducibili direttamente o indirettamente alla pandemia.
Partendo da questo nuovo e sconcertante dato, nel presente articolo cercheremo di fare alcune riflessioni sull'evoluzione del fenomeno degli hikikomori, sia in Giappone che in Italia, anche alla luce dei nuovi dati relativi al nostro paese emersi dallo studio del CNR e da quello dell'Istituto Superiore di Sanità.
Gli studi quantitativi giapponesi
L'interesse ufficiale del governo giapponese per l'hikikomori parte nel 2013, quando viene pubblicato il primo studio qualitativo in cui si definiscono anche i criteri per stabilire chi possa rientrare all'interno di tale etichetta:
- nessuna attività formativa o lavorativa in corso;
- assenza di relazioni amicali;
- nessuna psicopatologia in grado di giustificare l'isolamento;
- isolamento continuativo per almeno 6 mesi.
Utilizzando questi criteri nel 2015 sono stati presentati i risultati del primo studio quantitativo a livello nazionale, che ha stimato la presenza nel paese di circa
514mila hikikomori under 40. Due anni più tardi, nel 2017, è stato riportato, sempre dal governo, anche il dato relativo agli
over40, che era pari a
613mila casi. Numeri perfettamente in linea con la stima di un milione fatta dalle associazioni che già da diversi anni si occupavano del problema (e che venivano accusate da alcuni, come nel nostro caso, di ingigantire i numeri per interessi personali).
Il fatto che nel paese nipponico vi siano più
hikikomori over40 di
hikikomori under40 potrebbe far storcere in naso, dal momento che quello dell'isolamento sociale volontario cronico sembra essere un problema soprattutto giovanile. Anche in Giappone infatti,
l'età media di inizio del ritiro si colloca nell'adolescenza o nella prima età adulta. Come mai allora da questi sondaggi emergono così tanti casi
over40?
Le risposte sono sostanzialmente due: la prima è che molti hikikomori che si sono iniziati a isolare durante gli anni '80 hanno cronicizzato a tal punto la propria condizione da superare persino i quarant'anni di età. L'altro motivo è legato invece ai criteri utilizzati dal governo giapponese per mappare il numero di hikikomori: tali criteri, infatti, non escludono tutte quelle persone che si trovano in una condizione di isolamento non volontario, come, per esempio, gli anziani, le casalinghe o, in generale, i disoccupati; condizioni di marginalità sociale causate da dinamiche di isolamento dissimili da quelle dell'hikikomori.
Il nuovo studio giapponese sugli hikikomori
Dai circa 1,1 milioni di hikikomori identificati negli studi del 2015 e del 2017, il fenomeno nel giro di pochi anni sembra essere ulteriormente esploso raggiungendo la cifra record emersa dall'ultima ricerca, che è pari appunto a 1,5 milioni. In questa crescita la pandemia sembra aver avuto un ruolo chiave, dato che circa un quinto dei rispondenti l'ha indicata come una causa diretta del proprio ritiro. Eppure, nel campione preso in esame dallo studio, composto da 30mila persone tra i 10 e i 69 anni, sono soprattutto gli over40 a segnalare tra le cause del proprio isolamento la perdita del lavoro, mentre negli under40 il fattore scatenante sembra essere maggiormente legato alle difficoltà relazionali.
Ciò può portarci a ipotizzare che si tratti di due tipologie di isolamento differenti, con l'hikikomori (isolamento sociale volontario) che sembra riguardare soprattutto la fascia di popolazione più giovane, mentre per quanto riguarda gli over40, questi sembrano essere colpiti maggiormente da dinamiche più in generale legate alla solitudine e alla disgregazione dei legami famigliari.
Gli studi quantitativi italiani
In Italia non sono ancora stati condotti degli studi quantitativi per stimare il numero degli hikikomori presenti nel nostro paese, tuttavia di recente due importanti organi di ricerca nazionali hanno provato a mappare il fenomeno all'interno della popolazione studentesca. Ci riferiamo allo studio del
CNR, che abbiamo analizzato nel dettaglio
nell'articolo precedente, e di quello dell'
ISS, presentato nel corso di una conferenza
svoltasi nel marzo 2023.
Entrambe le ricerche, pur con tutte le limitazioni, sembrano essere arrivate a una stima simile. In particolare il
CNR ha rilevato circa 50mila
hikikomori nella fascia di popolazione tra i 15 e i 19 anni, mentre l'
ISS ne ha identificati circa 65 mila tra gli 11 e i 17 anni. Ricordiamo però che in entrambi i casi, le ricerche sono state effettuate su una popolazione di studenti frequentanti, il che ci porta più verosimilmente a parlare di
pre-hikikomori, piuttosto che di
hikikomori vero e proprio, ovvero quello che ha raggiungo
la fase 2 del processo di isolamento.
In ogni caso, se fosse vero che in Italia ci sono tra i 50mila e i 100mila hikikomori solo nella popolazione studentesca, ciò significherebbe che nel nostro paese gli isolati sociali volontari sarebbero potenzialmente molti di più dei 100mila stimati dalla nostra associazione fino a questo momento. Verosimilmente, anche nel nostro paese il Covid avrà contribuito ad accelerare la diffusione del fenomeno e di conseguenza oggi potrebbero esserci almeno un 20% in più di ritirati (anche considerando il fatto che le restrizioni del nostro governo durante la pandemia son state ben più dure di quelle adottate dai politici nipponici).
Conclusioni
Tutti gli studi condotti sul fenomeno degli hikikomori, sia in Italia che in Giappone, sembrano delineare un trend in crescita, accelerato dalla pandemia, ma tendenzialmente già in ascesa anche prima del Covid-19. Mentre in Giappone il governo ha già condotto ben tre studi su base nazionale e su tutte le fasce di popolazione, in Italia ci stiamo concentrando esclusivamente sulla fascia giovanile, in particolare quella scolastica, trascurando invece coloro che sono già usciti dal circuito formativo e lavorativo. Ciò rischia di generare una sottovalutazione della dimensione del fenomeno nel nostro paese, con un conseguente disinvestimento psicologico ed economico da parte di chi invece se ne dovrebbe occupare, in primis la politica.
Anche gli studi giapponesi, tuttavia, non sono esenti da criticità. In particolare, i criteri utilizzati per stabilire che si trovi in una condizione di hikikomori sono poco precisi e non in grado di cogliere la reale natura del fenomeno. Il fattore principale che distingue l'isolamento cronico degli hikikomori da quello di altre categorie sociali fragili (es. disoccupati, anziani, casalinghe, ecc.) va infatti identificato nelle motivazioni che spingono il soggetto al ritiro. In assenza di una componente volontaria (es. "Non voglio uscire perché la società è malata", oppure "Non voglio uscire perché nessuno mi apprezza") l'utilizzo del termine hikikomori rischia di essere improprio e fuorviante, poiché si sovrappone ad altre forme di isolamento sociale che nulla hanno a che fare con le dinamiche di ritiro peculiari del fenomeno, generando confusione in chi vi si approccia.
Comunque, tra cosiddetti pre-hikikomori (isolati da almeno sei mesi, ad accezione della scuola) e gli hikikomori veri e propri (isolati da almeno sei mesi, anche dalla scuola), in Italia è possibile ipotizzare che ci siano a oggi tra i 100mila e i 200mila casi di isolamento sociale volontario. Vedremo se gli studi futuri confermeranno o smentiranno tale stima. In ogni caso un dato è certo: il fenomeno è molto diffuso anche qui e dovremmo prestargli molta più attenzione.
Psicologo, presidente fondatore Hikikomori Italia
marco.crepaldi@hikikomoriitalia.it