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Hikikomori: quanta colpa hanno i genitori?





Tra le concause alla base del fenomeno degli hikikomori dobbiamo necessariamente prendere in considerazione anche il cambiamento delle aspettative genitoriali sulla prole.

La nascita di un figlio non è mai stato accolto come un evento banale o irrilevante, ma complici diversi fattori, tra cui la numerosità delle famiglie del passato, l’alta mortalità infantile e le concrete preoccupazioni circa la sostenibilità economica che una nuova vita comportava, i genitori ponevano inconsciamente e pragmaticamente minori attenzione sul nuovo arrivato.


Losing You - LY.




Il contesto all’interno del quale viene al mondo un figlio oggi, nella società del benessere e dalla realizzazione sociale, è completamente diverso. Nulla o quasi viene lasciato al caso: i genitori spesso programmano il periodo della vita nel quale generare e predispongono ogni risorsa affinché il nascituro possa essere messo nelle migliori condizioni possibili per crescere sano e felice.

Non vi è nulla di male in tutto questo, se non fosse che talvolta le grandi attenzioni poste sul benessere di un figlio si concretizzano in alte aspettative circa la sua realizzazione futura. I genitori non vedono il figlio come un essere umano, ma come un piccolo prodigio dalle potenzialità straordinare che aspettano solo di essere svelate a loro e al mondo intero. La sua esistenza viene idealizzata ancor prima che possa manifestare qualsivoglia talento.

La nascita di un figlio, evento rarissimo, se non unico, nella vita di una coppia moderna, scuote drasticamente il baricentro del focus realizzativo dei genitori, il quale passa dal realizzarsi al realizzare. In altre parole: la propria realizzazione personale dipende in gran parte, se non totalmente, dalla realizzazione del figlio.

L’hikikomori nasce spesso qui.




“Voglio darti tutto quello che io non ho mai avuto”


L’idea che la vita di nostro figlio debba essere necessariamente migliorativa rispetto alla nostra è molto radicata culturalmente. Eppure parliamo di un’esistenza a se stante, che nasce in un contesto sociale nuovo e che avrà (e gli deve essere concesso avere) un percorso completamente diverso da coloro che l’hanno generata, al netto del comparto genetico ereditato.

L’ansia di un genitore di non commettere errori e di fare in modo che il figlio non trovi particolari ostacoli nel proprio processo di crescita si tramuta talvolta in un atteggiamento invadente e iperprotettivo che ottiene l’effetto esattamente opposto rispetto a quello desiderato.

Nel senso comune, e di conseguenza anche a livello mediatico, l’atteggiamento genitoriale più stigmatizzato è quello negligente. Per esempio, se la scuola si rende conto che un alunno sembra essere trascurato nel vestiario, nell’igiene personale o in quant’altro che dovrebbe essere responsabilità del genitore, può decidere di rivolgersi ai servizi sociali per verificare effettivamente se esista una mancanza da parte della famiglia nell’accudimento del figlio.

Eppure oggi ci stiamo accorgendo che a livello psicologico l’iperprotettività genitoriale, nonostante non si porti dietro un vero e proprio stigma sociale al pari della negligenza, è in grado di produrre sull’adolescente danni evolutivi equipollenti se non maggiori rispetto alla sua eventuale “trascuratezza” (o quella che oggi viene identificata come tale).


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Qual è il compito di un genitore?


A livello evolutivo il compito di un genitore non è quello di portare il figlio a diplomarsi, a laurearsi, a fidanzarsi, ad avere un lavoro stabile, a essere felice o, in generale, a realizzarsi socialmente. Il compito evolutivo di un genitore è quello di favorire la transizione del figlio da un condizione di completa dipendenza (infanzia) a una condizione di completa indipendenza (adultezzà): quella che noi comunemente definiamo “adolescenza” non è altro che la fase transitoria tra questi due stadi.

Attenzione però, l’adolescenza non è una fase meramente anagrafica, ma una tappa evolutiva psicologica e il suo raggiungimento non è un risultato automatico indotto dall’età. Se il genitore, o la società, non crea le condizioni affinché un adolescente possa divenire psicologicamente adulto, il passaggio potrebbe non avvenire mai.




La caratteristica fondamentale che deve avere il genitore di un hikikomori


Se un genitore si rende conto di aver assunto un comportamento iperprotettivo e particolarmente carico di aspettative sulla realizzazione personale del figlio, e questo abbia provocato in lui una personalità fragile, ansiosa, inibita socialmente e con forti tendenze all’isolamento sociale, cosa può fare per recuperare?

La buona notizia è che si è sempre in tempo per correggere il proprio comportamento e apportare un miglioramento sostanziale nella vita del figlio. La cattiva notizia è che non è semplice e purtroppo non tutti hanno gli strumenti per farlo.

La caratteristica fondamentale che un genitore deve avere, o provare a sviluppare, per aiutare un figlio hikikomori è l’apertura mentale. Apertura mentale significa avere la capacità di mettere in discussione la propria interpretazione dell’esistenza e riuscire a superare i dogmi che hanno guidato il proprio stile educativo.



I passaggi mentali che deve fare un genitore per poter essere una presenza positiva per il figlio


Il primo passaggio fondamentale è riuscire a riconoscere il figlio non come una proprietà, oppure come un prolungamento di se stessi, ma come un essere indipendente e autonomo nelle proprie scelte di vita.

Il secondo passaggio è quello di accettare il fatto che non diventerà mai la nostra versione idealizzata che abbiamo coltivato con tanta soddisfazione fin dai suoi primissimi istanti di vita. Quella era solamente una nostra fantasia dettata dall’euforia. La vita reale è diversa e non prevedibile nei suoi sviluppi quotidiani.

Il terzo passaggio, necessario quando la condizione di hikikomori del figlio si è protratta per lungo tempo innescando in lui profonde fragilità emotive e sociali, è quello di accettare, non solo che non diventerà mai il nostro sogno idealizzato, ma anche che probabilmente non avrà mai quella che culturalmente e socialmente definiremmo “un’esistenza normale”. Dobbiamo accettare che potrebbe non diplomarsi mai, che potrebbe non innamorarsi mai, che potrebbe non riuscire mai del tutto a integrarsi socialmente. O meglio, potrebbe non riuscirci nelle modalità e nei tempi in cui noi speriamo che lo faccia.

Solo in questo momento, una volta distrutte tutte le aspettative sul futuro di nostro figlio, possiamo dare a lui in mano le chiavi della sua vita e lasciare che ne faccia quello che meglio crede. Se è adulto, e noi vogliamo che lo sia, le sue scelte non ci competono. In caso contrario continueremo a trattarlo come un eterno adolescente e lui rimarrà tale.




Conclusioni


In conclusione ci tengo a precisare che, sebbene lo scenario sopra descritto sia frequente, a mio modo di vedere, nelle dinamiche di ritiro adolescenziale, non è comunque generalizzabile alla totalità dei casi. La causa sociologica primaria alla base dell'hikikomori rimane la crescente competitività sociale, di cui i genitori possono diventare, inconsapevolmente, antenne amplificatrici.

Certo, quando un adolescente sperimenta l’impulso all’isolamento sociale tipico dell’hikikomori, la famiglia ha sempre un qualche tipo di ruolo, diretto o indiretto, ma è importante sottolineare che ci sono casi dove le responsabilità delle famiglie sono altissime e altri, invece, dove sono davvero minime.

L’altro aspetto che è giusto sottolineare è che il genitore agisce sempre a fin di bene e, dunque, dal punto di vista morale il suo comportamento non è stigmatizzabile. Ciò non toglie che le sue responsabilità rimangano e, soprattutto nel momento in cui ne diventa consapevole, deve avere la forza e la flessibilità mentale per mettersi profondamente in discussione. Con equilibrio, senza colpevolizzarsi eccessivamente, ma anche senza nemmeno scaricare tutto su fattori esterni.

L’hikikomori è un problema individuale, ma è anche un problema sociale, scolastico e famigliare, e non può essere superato senza uno sforzo di crescita collettivo da parte di tutti.

Presidente e fondatore "Hikikomori Italia"





Commenti

  1. Va bene. Come genitore mi prendo le mie brave colpe, se ho fatto cose che hanno devastato la psiche di mio figlio tenterò di farmene una ragione. Però....però non posso caricarmi di tutte le colpe e di tutte le brutture e le storture del sistema in cui viviamo. Non concepisco una visione in cui se da un lato la gran parte delle motivazioni che rendono i nostri figli ciò che sono, passa per una visione genitoriale in cui i figli potessero esplicitare le proprie potenzialità dentro un contesto sociale in "evoluzione positiva", da un altro lato si dice quasi che, stante l'impossibilità di realizzazione di questa evoluzione positiva del sociale....a ritroso, partendo da una sconfitta e da uba diversa concretizzazione dei sogni e dei bisogni....si dice che è tutto da rifare. Insegnano ai nostri figli a stare con i piedi per terra, a vedere dove stanno e perché esistono le sconfitte, rafforzi amore identità e realismo al posto del pessimismo. Non gli insegnato che se il convento questa snobba passa ....dovranno mangiarla. Una volta perché non esiste più la religione e un'altra volta perché hanno avuto dei genitori che hanno pensato troppo in grande stile per loro. Sbaglio o queste nostre generazioni sono tra le prime di cui si può dire che figli e nipoti vivano peggio dei padri? Non baratto una sconfitta socio politica e culturale che sta "Anche" nelle dinamiche economiche per un atto di contrizione totalmente privato e personale. Aggiungendo il danno alla beffa. Mi carico delle mie eventuali responsabilità ma non posso accettare una lettura che parta dalla fine per giustificare quelle che per me sono sconfitte sociali culturali ed economiche. O ragioniamo sul singolo e ben vengano tutte le analisi e tutte critiche o ragioniamo di sociale. E se ragioniamo di sociale non facciamo finta di dimenticare che esiste una cosa che si chiama politica. Mi scuso per la passione che ho messo in queste righe ma pur stimando non concordo.

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