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La paura di essere giudicati è un "inganno mentale"




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Ho sempre indicato la pressione di realizzazione sociale come la causa madre dell'hikikomori, l'unico fattore trasversale in tutti i casi di isolamento volontario.

Eppure, tale pressione, non è altro che il combustibile. Il fuoco, l'emozione dominante, è la paura.


Losing You - LY.


La paura di fallire, la paura di essere giudicati per i propri insuccessi, per le proprie mancanze. La paura di non essere all'altezza delle aspettative altrui, ma non solo, anche delle nostre. La paura di non riuscire a sfruttare le proprie potenzialità, la paura di non riuscire a raggiungere quello che è il nostro sé idealizzato.

Gli hikikomori sono spesso ragazzi molto brillanti e fin da bambini sono abituati a ricevere attenzioni e complimenti per le proprie capacità, costruendo, in questo modo, un'identità di sé corrispondente ai feedback ricevuti. 

Se, per qualsiasi motivo, il gap tra quello che è il proprio sé ideale e la realtà diventa troppo ampio, la pressione a raggiungere il modello idealizzato aumenta, insieme alla paura di fallire, di deludere gli altri e, di conseguenza, se stessi. Parte della nostra identità, infatti, si plasma in relazione a come noi ci percepiamo attraverso lo sguardo altrui, quello che il sociologo Charles Horton Cooley chiamava "l'io riflesso".

Dunque, la pressione di realizzazione alimenta la paura del fallimento sociale, la quale, a sua volta, porterà ad attivare, nei soggetti più fragili e predisposti, quel meccanismo di difesa primordiale che si innesca ogniqualvolta avvertiamo una situazione di pericolo: la fuga.

Nel caso specifico degli hikikomori, il pericolo è rappresentato dall'esposizione sociale e dal giudizio, la fuga si concretizza con l'auto-isolamento e la casa svolge il ruolo di "tana", un rifugio sicuro che permette di ridurre al minimo tale pericolo. Attenzione, ridurre, non annullare, perché, come abbiamo detto precedentemente, le fonti di giudizio sono sempre almeno due: una sono gli altri, l'altra siamo noi. E dal nostro giudizio non c'è scampo.


Il ruolo della vergogna


Un'altra emozione chiave, spesso associata all'hikikomori, è la vergogna, la quale non è un'emozione primaria, come la paura, ma un'emozione di origine sociale. Essa implica gli aspetti di auto-valutazione di cui parlavamo in precedenza.

Da una certa prospettiva, potremmo dire che gli hikikomori non scappano dalla famiglia, dalla scuola o dai coetanei: scappano proprio dalla vergogna. Hanno paura di tutte quelle situazioni che possono attivare in loro un meccanismo di confronto sociale, ovvero un raffronto istintivo tra il proprio grado di successo personale e quello di una persona, o di un gruppo di persone, giudicate rilevanti. Da questo bilancio possono nascere sentimenti di inadeguatezza, inferiorità e vergogna, i quali generano, a loro volta, atteggiamenti di rabbia, disinteresse e rifiuto.

Dunque, paura e vergogna nell'hikikomori sono due lati della stessa medaglia. Coesistono e si fondono in un'unico sentimento: la paura di essere giudicati. Un fattore che nella società moderna ha assunto un peso e una centralità mai avuta nella storia dell'uomo.

Come si supera la paura di essere giudicati?


La paura è un'emozione "primaria" perché fa parte dell'uomo fin dalla preistoria ed è trasversale sia al genere umano che al genere animale. Tale emozione si innescava, originariamente, solo in quelle situazioni che potevano mettere in pericolo l'incolumità e la sopravvivenza, eppure è evidente che la paura di essere giudicati non rientra in questa categoria.

Si tratta quindi di un "inganno mentale" che origina da una sovrastima insensata di un pericolo minimo o inesistente. Come si supera? Attraverso l'esperienza e l'apprendimento. Questa tipologia di paura, infatti, si sgonfia e si disinnesca automaticamente nel momento in cui la si affronta, ovvero nel momento in cui ci si rende conto che si tratta solamente di un nostro errore di valutazione. Nient'altro che un'illusione.

Per fare questo step è necessario intraprendere un percorso interiore che ci porti a elaborare consciamente le nostre fobie, a ridefinirle, a razionalizzare e, infine, a padroneggiarle. In questo modo tutta la sofferenza dell'isolamento potrà trasformarsi in potenziale, energia, voglia di riscatto. In poche parole: in un'occasione di crescita personale.

Davanti al pericolo, alla paura, si può infatti reagire sempre almeno in due modi: uno è fuggire, l'altro, invece, è lottare.

Post di Marco Crepaldi

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