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L'hikikomori in televisione






L'interesse nei confronti dell'hikikomori sta lentamente crescendo anche in Italia. Sul web vengono creati ogni settimana decine di contenuti che riguardano questo fenomeno. Stessa cosa, invece, non si può dire per la televisione, che come spesso accade, è più lenta nel reagire ai cambiamenti sociali e rimane sempre un passo (o due) indietro rispetto alla rete.

Uno dei primi a parlarne sul piccolo schermo è stato il Tg2 (guarda il video) nel 2009, riportando però una statistica poco realistica, ovvero che i casi di hikikomori in Italia fossero solo una cinquantina. Oggi, a sei anni di distanza dalla messa in onda del servizio, si stima che i giovani (e meno giovani) che vivono in condizioni di isolamento nel nostro paese sono circa 30.000. Un dato ben lontano rispetto a quello riportato dall'emittente nazionale.

Anche Radio Deejay si è occupata del fenomeno attraverso il programma Lorem Ipsum. Il mini-documentario realizzato è composto da spezzoni di tutti i video riguardanti l'hikikomori caricati su Youtube fino a quel momento. In questo caso il tema è stato trattato in modo esaustivo, ma sempre considerandolo come una sindrome culturale esclusivamente giapponese.




Nell'ultimo periodo, a parlare di hikikomori in televisione è stata Tv2000, addirittura con la formula del TalkShow. La discussione che viene a generarsi offre spunti interessanti, ma il titolo che è stato dato al video pubblicato su Youtube è del tutto fuorviante. L'hikikomori, infatti, viene definito una "moda". Appellativo che non potrebbe essere più lontano dalla realtà.




Anche in questo caso la causa principale dell'isolamento viene identificata nella dipendenza dalle nuove tecnologie. Tuttavia, la relazione tra hikikomori e internet addiction non è così lineare come spesso viene rappresentata dalla maggior parte dei media italiani (ne ho parlato in questo post).

Lo stesso errore è stato commesso anche da StudioAperto, il telegiornale di Italia1, che per ultimo (in ordine temporale) si è occupato del tema degli hikikomori.

"In Giappone questa dipendenza assoluta dalla rete ha un nome, si chiama Sindrome di Hikikomori",  così afferma la giornalista di Mediaset nel suo servizio, ma in realtà in Giappone questo fenomeno è scoppiato ben prima della capillare diffusione di pc e smartphone. Inoltre, anche nei casi in cui l'hikikomori sviluppi una dipendenza dalle nuove tecnologie, questa deve essere considerata una conseguenza dello stato d'isolamento e non la causa (come confermato anche dall'antropologa Carla Ricci in questa intervista).

In conclusione, la mia impressione è che l'hikikomori continui a essere trattato dai media con eccessiva superficialità. Il fatto che se ne parli è positivo perché una maggiore attenzione sul fenomeno non può che portare a una migliore comprensione dello stesso. Tuttavia, continuare a scambiare l'hikikomori con condizioni diverse, come ad esempio la dipendenza da internet, rischia di generare solo confusione.


Vedi anche:



Commenti

  1. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

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  2. Vedo molti adulti over 40, professionisti del settore, anche psicoterapeuti, come la dott.ssa del servizio di studio aperto, che affrontano non solo il tema dell'hikikomori ma anche quello della dipendenza tecnologica facendo una grande generalizzazione, riducendo una realtà complessa e multisfaccettata come internet a "ma questi ragazzi che passano tante ore a fare dei giochi e non fanno i compiti, gli adulti devono insegnarli a vivere, non il computer". La dott.ssa sarebbe un esperta sul tema? Mi viene da ridere...che si inizi a fare un pò di analisi multilivello quando ci si approccia a un tema complesso come giovani e nuovi media. L'utilizzo di internet é complesso, un social, é diverso da un gioco, e non solo, ogni social ha caratteristiche peculiari così come ogni gioco. C'è una profonda differenza nell'esperienza psicologica di tra chi gioca a tetris e chi gioca ad un gioco di ruolo multiutente, un' esperto del settore é chiamato ad informarsi su queste cose, sennò il suo discorso é pari a quelli degli anziani che stanno al bar che si lamentano che i giovani di oggi non sono più quelli di una volta. Con tutto il rispetto per la visione che può avere un anziano.

    Salvo Morabito

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    1. Ciao Salvo, posso solo dire che condivido in pieno il tuo discorso.

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