"Siamo tutti hikikomori"
Partiamo con lo sfatare questo mito. Nemmeno durante il lockdown abbiamo potuto sperimentare realmente la condizione psicologica di un hikikomori: c'è molta differenza, infatti, tra un isolamento volontario e uno forzato. L'hikikomori vive spesso il proprio ritiro come una scelta, o comunque come un qualcosa che ha a che fare, almeno in parte, con la propria volontà. L'isolamento che ci è stato imposto per motivi di sicurezza durante la quarantena non aveva questa base motivazionale e, dunque, anche le ripercussioni psicologiche sono differenti.
Quando si parla di solitudine, infatti, andrebbe sempre fatto un distinguo tra solitudine psicologica e solitudine fisica. Quest'ultima è una condizione oggettiva, caratterizzata dall'assenza di altre persone nei dintorni. La solitudine psicologica, invece, è una condizione soggettiva dell'individuo e consiste nel non sentirsi riconosciuto dagli altri, apprezzato e benvoluto nella propria versione "autentica", ovvero senza maschere o comportamenti dissimulati.
Ecco la solitudine degli hikikomori è una solitudine psicologica, che viene da loro sperimentata anche in quelle occasioni in cui si trovano fisicamente a contatto con altra gente.
Il lockdown degli hikikomori
Come hanno vissuto la quarantena gli hikikomori? Di questo ne ho già parlato in un video YouTube. Non c'è una risposta univoca a tale domanda poiché tutto dipende dalla condizione nella quale si trovava l'hikikomori stesso al momento della chiusura. In ogni caso, possiamo, a grandi linee, paventare tre possibili scenari:
Gli hikikomori che stavano cercando di uscirne
Chi, prima del lockdown, stava combattendo contro la propria condizione di isolamento sociale, oppure stava cercando di resiste alla pulsione di ritiro, rischia di aver subito un forte aggravio o, quantomeno, una battuta di arresto. In questi casi la chiusura forzata potrebbe infatti aver privato i soggetti in hikikomori anche delle poche attività che permettevano loro di rimanere aggrappati al mondo sociale, come, per esempio, la scuola.
Gli hikikomori al primo stadio
Chi si trova al primo stadio dell'hikikomori sperimenta già la pulsione all'isolamento sociale, ma non riesce ancora a elaborarla consciamente. Dunque, dal momento che il soggetto non ha ancora sviluppato una motivazione razionale per abbandonare il mondo sociale, tende a contrastare l'istinto che lo porterebbe a isolarsi. In questi casi il lockdown potrebbe aver comportato un'accelerazione del processo di isolamento o, più banalmente, la possibilità di sperimentare i "benefici" di una vita da ritirato con poche o nessuna pressione sociale.
Gli hikikomori che NON stavano provando a uscirne
Questa è la fetta maggioritaria e forse anche quella più a rischio, sia perché presumibilmente si trovano in una condizione più grave (dal momento che non si è ancora innescato un processo attivo di reazione al problema), sia perché potrebbero incorrere in un forte contraccolpo psicologico.
Questi soggetti, infatti, durante la quarantena, hanno sperimentato un calo delle pressioni di realizzazione personale sulle loro spalle, poiché, in una società bloccata, in cui nessuno può uscire, forse per la prima volta da molto tempo si sono sentiti "normali" o quantomeno simili a tutti gli altri.
Sondaggio effettuato nella sezione "Community" del canale YouTube. Non ha valore scientifico. |
Anche le pressioni da parte dei genitori su di loro si saranno sicuramente allentate. Questo potrebbe rappresentare anche un fattore positivo, poiché pressare un hikikomori a uscire di casa non è quasi mai una buona idea (come illustrato nelle nostre "buone prassi"). Diventerebbe però un fattore negativo qualora si traducesse anche in una sottovalutazione da parte del genitore circa la condizione del figlio, con il rischio di perdere tempo prezioso per lavorare alla risoluzione del problema e permettere all'isolamento di continuare il processo di cronicizzazione.
Infatti, pensare che, dal momento che nessuno può uscire di casa, allora non si può fare nulla per aiutare un soggetto in isolamento sociale, è un grave errore e sottende il più grande equivoco che riguarda l'hikikomori, ovvero ritenere che l'obiettivo di un qualsiasi intervento sia quello di convincerlo a lasciare l'abitazione, invece che aiutarlo a stare meglio... anche dentro casa!
L'isolamento dell'hikikomori non è infatti di per sé IL PROBLEMA, quanto piuttosto un sintomo di un problema, che rimane psicologico-adattivo. Se una persona "sta bene", tenderà spontaneamente a ricercare la socialità (tenendo conto ovviamente delle diverse predisposizioni personali) e non avrà bisogno di nessuno stratagemma per essere spinto a farlo.
Il rischio del contraccolpo psicologico
Il più grande rischio legato alla pandemia di Covid-19 è quello del contraccolpo psicologico che gli hikikomori potrebbero aver vissuto al termine del lockdown, e, più in generale, potrebbero vivere alla conclusione definitiva dell'emergenza sanitaria.
Sì perché se è vero che molti ritirati sociali hanno tratto sollievo (o addirittura piacere) da una società bloccata, esattamente come loro, cosa succederà quando tutto riprenderà normalmente e le persone torneranno a vivere la propria socialità in modo libero e spensierato? Ecco, forse in quel momento gli hikikomori realizzeranno, in un sol colpo, tutta la miseria della propria condizione. Realizzeranno che la loro "quarantena" non è appunto un periodo transitorio causato da fattori esterni, come per le altre persone, ma una prigionia che può durare potenzialmente tutta la vita.
L'impatto sulla famiglia
La pandemia non ha avuto un impatto solamente sugli hikikomori, ma anche sulle loro famiglie. Come infatti viene giustamente sottolineato nell'articolo di Paul W.C. Wong, pubblicato sull'Asian Journal of Psychiatric, "l'effetto negativo sui giovani, correlato alla perdita di lavoro dei genitori [a causa del Covid], non è ancora stimabile".
È tuttavia facile ipotizzare che una situazione di maggiore stress di tutto il nucleo famigliare non giovi affatto ai soggetti isolati. Anzi, la presenza forzata dei genitori in casa 24 ore su 24, potrebbe aver amplificato i conflitti sia all'interno della coppia, sia tra genitori e figli, portando talvolta anche allo scontro fisico, con violenza perpetrata da ambo i lati (non è raro che siano gli hikikomori stessi a esercitare violenza sui propri genitori).Anche per questo motivo abbiamo deciso di non interrompere i gruppi di supporto genitoriale dell'associazione, nemmeno durante il lockdown, sfruttando gli strumenti di comunicazione digitale.
Gli aspetti positivi
Tuttavia, voglio concludere l'articolo cercando di infondere un po' di speranza, ipotizzando anche degli aspetti potenzialmente positivi legati al lockdown.
Se è vero infatti che la reclusione forzata di un'intera nazione ha contribuito ulteriormente a distogliere l'attenzione mediatica dal fenomeno dell'isolamento sociale volontario, mimetizzandolo quasi fosse una condizione del tutto normale, dall'altra parte è anche vero che molte più persone hanno potuto sperimentare, seppur in minima parte, le sensazioni provate da un recluso sociale. Ciò potrebbe aver innescato un processo di maggiore empatizzazione della società sul fenomeno degli hikikomori.
Infine, mi piace pensare che, oltre agli inevitabili conflitti, la presenza prolungata di genitori e figli sotto lo stesso tetto, almeno in alcuni casi, abbia favorito un maggiore legame e abbia consentito di passare più tempo assieme senza pressioni legate all'uscire o al "fare qualcosa della propria vita".
In fondo, trarre forza e stimolo di crescita dagli eventi negativi rimane una delle competenze più importanti che un essere umano può sviluppare nel corso della vita.