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Un sistema scolastico che soffoca l’individualità




Negli ultimi anni in Italia 2,9 milioni di ragazzi hanno abbandonato anzi tempo gli studi scolastici. Un numero impressionante che ci posiziona al primo posto in Europa per quanto riguarda questa triste classifica.

Davanti a un dato di questo tipo sarebbe stupido accusare e colpevolizzare solo gli studenti. Bisogna fermarsi e chiedersi: perché lo fanno? Se così tanti giovani decidono di non andare più a scuola evidentemente qualcosa non funziona.

Andreas Schleicher, famoso ricercatore nell'ambito dell'educazione, in un suo intervento disse:


"[...] è il sistema responsabile del successo degli studenti, non solo i genitori, non solo gli studenti, non solo gli insegnanti. La cultura crea il sistema."





Perché così tanti ragazzi decidono di interrompere gli studi?

I motivi dell’abbandono scolastico sono diversi e spesso interconnessi tra loro: disposizioni caratteriali, difficoltà relazionali, difficoltà familiari, il bullismo, ecc. Io sono però convinto che la causa principale sia la demotivazione. La verità è che un sistema scolastico come quello italiano (ma non solo) non è in grado di stimolare l’interesse degli studenti che inevitabilmente finiscono per abbandonare la scuola prima del tempo.

Il nostro, infatti, è un sistema standardizzato che tende a sopprimere le disposizioni personali. Eppure non siamo tutti uguali. Le persone hanno per natura un’incredibile varietà di talenti che la scuola, invece di coltivare, spesso finisce per soffocare sul nascere facendo sentire molti ragazzi inadeguati solamente perché costretti sulla strada sbagliata.






Per fare degli esempi, ci sono ragazzi che hanno difficoltà con la matematica, ma che sono abilissimi nella scrittura. C’è chi fa fatica a esprimersi a parole, ma ha un gran talento nel disegno. Chi è bravo nello sport e chi, invece, nelle materie artistiche.

Quest’ultime sono ormai considerate dall’opinione pubblica come inferiori rispetto alle materie scientifiche. Molti, infatti, sono concordi nello scoraggiare lo studio avanzato delle discipline umanistiche, in quanto le lauree scientifiche (come ingegneria, informatica, ecc.) sono considerate le uniche in grado di consentire l’ottenimento di un posto di lavoro.


Dovremmo chiederci:

  • E’ giusto arrivare ad annullare se stessi, la propria inclinazione, la propria natura, per darsi in pasto ad un mondo del lavoro dove va avanti solo chi ha un certo tipo di caratteristiche?
  • In una società di questo tipo, dove il profitto è il fine ultimo di ogni cosa, compresa l’educazione, ci stupiamo  davvero che esistano ragazzi che desiderino starne fuori?


Ovviamente si tratta di domande valutamente provocatorie, ma io credo che nella risposta ci sia la chiave che può aiutarci a meglio comprendere il fenomeno degli hikikomori.

A mio parere, l’unico modo per arginare l’abbandono scolastico è ristrutturare dalle fondamenta un sistema educativo obsoleto. La prima cosa da fare è diminuire quanto possibile la standardizzazione, permettendo percorsi scolastici progressivamente personalizzati, non determinati a priori, ma modellati sulle caratteristiche personali di ogni singolo individuo.
Aiutare i ragazzi a capire qual è il proprio talento potrebbe riaccendere in loro la curiosità, la voglia di mettersi in gioco e il desiderio di studiare, applicandosi in qualcosa che veramente li appassiona.

Alcuni paesi si sono già resi conto di questo problema. In Finlandia, ad esempio, un terzo del programma scolastico è costituto da corsi a scelta. Inoltre, agli insegnanti è concesso molto più tempo da dedicare alla propria formazione professionale e al confronto con i colleghi.



Commenti

  1. Le falsità di questo articolo:

    - Un hikikomori è tale in quanto andava male a scuola ed ha abbandonato gli studi

    Falsissimo, un hikikomori può avere anche tutti 10 al liceo, una laurea con 110 e lode e isolarsi per mancanza di amici e lavoro. Muoversi nel mondo è dura anche per i laureati, considerato il caro vita, la crisi e la mancanza di occupazione. Spesso è proprio l'inseguimento della laurea a creare hikikomori, in quanto soprattutto gli studi scientifici portano ad isolarsi per la difficoltà degli esami ed una volta persi gli amici e finita la laurea, è difficile andare via di casa per sistemarsi in una città dove il caro vita e le aspettative sono a livelli inaccettabili.

    - Un hikikomori è sempre un neet

    Anche questo non è vero. Oggi c'è internet, c'è youtube, ci sono i blog, ci sono riviste che permettono di pubblicare articoli per corrispondenza, un hikikomori potrebbe essere uno scrittore di best sellers o una web celebrity e guadagnare migliaia di euro al mese. Chi è in grado di affermare il contrario? Fino a prova contraria, un hikikomori è solo una persona che non esce di casa, tutte le conclusioni sul suo stato di istruzione e lavorativo sono la maggior parte delle volte cattivere gratuite. E' come se dicessi che gli hikikomori fanno puzza perchè non escono di casa e non hanno motivo per lavarsi. Tutti i giudizi su queste persone sono gli stessi pregiudizi che li hanno spinti ad isolarsi.

    E' vero che queste persone vivono un dramma personale, ma andrebbero aiutate sul piano psicologico, non lavorativo. Se una persona non trova lavoro ne cerca uno più umile o comincia a fare debiti, non si chiude in casa. Sono due cose diverse. Chiudersi in casa non c'entra niente con la carriera o con la demotivazione, è un vero e proprio disturbo psicologico di paura sociale e abbandono che andrebbe affrontato come tale. La cosidetta fobia sociale, al pari dell'agorafobia, della xenofobia, dell'amaxofobia, della aracnofobia... la gente perchè ha paura dei ragni? Per i cattivi voti a scuola, per la mancanza di aspettative, per la mancanza di coraggio nell'affrontare questi piccoli insetti al pari delle avversità della vita?

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    Risposte
    1. Ciao, grazie per aver commentato.

      Non sono in parte d’accordo con quello che hai scritto e ti spiego perché.

      - Un hikikomori è tale in quanto andava male a scuola ed ha abbandonato gli studi

      Questa è una banalizzazione e un’estrema semplificazione del concetto che io volevo trasmettere attraverso il post. Nell’articolo sostengo che abbandonare la scuola sia “il primo passo” per diventare hikikomori, non la causa diretta e soprattutto non l’unica causa.
      Inoltre non ho mai parlato di “andare male a scuola”, ma di demotivazione ed eccessive pressioni familiari ad ottenere “ottimi voti” (ovvero eccellere, che è diverso da “andare bene”).
      Come dici giustamente tu “un hikikomori può avere anche tutti 10 al liceo”. Verissimo, ma se l’unica motivazione che ha per farlo è soddisfare le aspettative sempre maggiori dei propri genitori si può dire che sia intrinsecamente motivato? Ne trae piacere e soddisfazione? Lo fa per sé o lo fa perché gli altri si aspettano questo da lui? Se lo fa per sé allora il problema non si pone, se lo fa per gli altri il voto che riesce ad ottenere è irrilevante.
      Inoltre, se è vero che ci sono molti hikikomori in grado di ottenere voti alti, è anche vero che ci saranno hikikomori che non sono in grado di farlo (con le stesse probabilità esistenti nella popolazione non hikikomori). In questo secondo caso il sentimento di fallimento può giocare un ruolo importante nell’eventualità che un ragazzo decida di isolarsi.

      Ovviamente ogni hikikomori avrà uno spettro di motivazioni per isolarsi che sono in parte simili a quelle degli altri hikikomori e in gran parte estremamente personali. Dunque, non voglio sostenere che le difficoltà scolastiche e l’abbandono scolastico siano una causa diretta dell’hikikomori, ma solo una concausa da inserire in un complesso intreccio di fattori.

      Il focus del mio articolo è l’abbandono scolastico in Italia. Non ho mai detto che tutti coloro che abbandonano la scuola diventano hikikomori, né che tutti gli hikikomori andavano male a scuola. Ho solo cercato di capire perché in Italia abbandonano la scuola così tanti ragazzi e se esiste una relazione tra questo fenomeno e il fenomeno degli hikikomori.

      - Un hikikomori è sempre un NEET

      Si. Un neet non è sempre un hikikomori, ma un hikikomori è sempre anche un neet. Non l’ho deciso io, ma il Ministero della Sanità, del Lavoro e del Welfare giapponese che nel 2003 ha stabilito i criteri per definire cosa si debba intendere con il termine “hikikomori”:

      - uno stile di vita centrato a casa;
      - nessun interesse o disponibilità a partecipare alla scuola o al lavoro;
      - persistenza dei sintomi per almeno sei mesi;
      - schizofrenia, ritardo mentale o altri disturbi mentali devono essere stati esclusi;
      - tra quelli che manifestano disinteresse nel frequentare la scuola o il lavoro, sono stati esclusi coloro che mantengono relazioni personali.

      L’hikikomori non ha interesse a lavorare proprio perché il suo isolamento è un tentativo di sfuggire dai meccanismi della società e dunque anche da quelli lavorativi. L’hikikomori non è come dici tu “solo una persona che non esce di casa”, ma una persona che non esce di casa perché ha delle specifiche motivazioni per non farlo. Sono tali motivazioni a rendere il fenomeno degli hikikomori qualcosa di nuovo e differente dalle altre forme di autoreclusione (che son sempre esistite).
      Si può essere d’accordo o no con i criteri del Ministero. Io stesso non sono d’accordo con molte affermazioni riguardanti l’hikikomori che ritrovo negli articoli scientifici o riportate dai mass media, non c’è nulla di male, anzi. Uno degli obiettivi di questo blog è proprio quello di accendere una riflessione critica su cosa sia veramente l’hikikomori (e quindi anche su cosa NON sia l’hikikomori). Quindi ben vengano commenti come il tuo.

      Mi sono dilungato. Spero comunque di averti convinto che il mio obiettivo non quello di giudicare gli hikikomori, al contrario, è cercare di capire perché fanno quello che fanno (talvolta dicendo inesattezze o complete castronerie, ma sempre con questo intento).

      Grazie, a presto.

      Elimina

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