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Hikikomori e BES: è possibile attivare un Piano Didattico Personalizzato nei casi di isolamento sociale?





Nel mese di marzo il Miur ha dato vita a una commissione di esperti per redigere le linee guida che la scuola dovrà seguire nel contrasto al fenomeno Hikikomori. Un grande risultato ottenuto soprattutto grazie all’impegno dell'associazione genitori di Hikikomori Italia, chiamata, attraverso i rappresentati Elena Carolei e Marco Crepaldi, a far parte del tavolo tecnico.

Ma, in attesa delle indicazioni che arriveranno da questi lavori, qual è la situazione attuale nella scuola? I ragazzi che ad oggi sono in una fase di ritiro sociale e rifiutano di andare a scuola come possono essere aiutati dall’Istituzione stessa?







Tutti i genitori che si trovino di fronte a questo problema hanno sentito parlare di “BES” ma probabilmente esiste poca chiarezza rispetto a questo discorso, per cui proviamo a fare un po’ di luce.

L’acronimo BES sta per Bisogni Educativi Speciali ed è un discorso strettamente legato a quello dell’inclusione scolastica: la scuola non può prescindere dal considerare questa realtà e la mission perseguita è appunto rivolta a realizzare una realtà scolastica inclusiva, nella quale si combatta in tutti i modi la marginalità.

Il cammino normativo

Facciamo un brevissimo excursus sulle leggi che hanno portato a parlare di una scuola inclusiva:

  • la Legge 517/1977 diede avvio al processo di integrazione scolastica;
  • la Legge 104/1992 è quella più conosciuta, cioè la Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate;
  • la Legge 53/2003 sancisce il principio della personalizzazione dell’insegnamento;
  • la Legge 170/2010 ha riconosciuto la dislessia, la disortografia, la disgrafia e la discalculia come Disturbi Specifici di Apprendimento;
  • il Decreto Ministeriale n. 5669 del 12 luglio 2011, con annesse linee guida, è considerato attuativo della legge 170/2010;
  • la Direttiva Ministeriale del 27 dicembre 2012 ha ampliato la riflessione sull’inclusione introducendo appunto il concetto di Bisogni Educativi Speciali (BES);
  • ad essa sono seguite la Circolare Ministeriale applicativa n. 8 del 6 marzo 2013 e la Nota Miur n. 2653 del 22 novembre 2013.

In ogni classe ci sono alunni che richiedono un’attenzione speciale per una varietà di ragioni: svantaggio sociale e culturale, Disturbi Specifici di Apprendimento e/o disturbi evolutivi specifici, difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua italiana perché appartenenti a culture diverse. Quest’area dello svantaggio scolastico, con problematiche così diverse, viene indicata come area dei Bisogni Educativi Speciali.

Al momento attuale, quando scuola e famiglia si trovino di fronte ad un BES, la normativa a cui possono fare riferimento è la seguente:

- D.M. del 27 dicembre 2012: “Strumenti d’intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica”: delinea la strategia inclusiva della scuola italiana al fine di realizzare il diritto all’apprendimento per tutti gli alunni in situazione di difficoltà. Inserisce nei BES anche quelle difficoltà di apprendimento che non sono certificabili ma che comunque esistono. Estende a tutti gli studenti in difficoltà il diritto alla personalizzazione dell’apprendimento.

- C.M. n. 8 del 6 marzo 2013: offre alle scuole uno strumento pratico importante perché dà delle strategie per rendere operativo quanto affermato nella Direttiva Ministeriale di cui sopra. Afferma che è compito dei Consigli di classe o team dei docenti nelle scuole primarie indicare in quali casi sia opportuna e necessaria l’adozione di una didattica personalizzata, nella prospettiva di una presa in carico globale e inclusiva di tutti gli alunni.

- Infine, la Nota Miur n. 2653 del 22 novembre 2013: chiarisce alcuni punti delle leggi precedenti e specifica meglio il problema dell’individuazione dei nuovi BES e dei PDP, Piani Didattici Personalizzati.


Ma cosa sono e chi sono i BES?


«Ogni alunno, con continuità o per determinati periodi, può manifestare dei Bisogni Educativi Speciali per motivi fisici, biologici, fisiologici o anche per motivi psicologici, sociali, rispetto ai quali è necessario che le scuole offrano adeguata e personalizzata risposta» (D.M 27/12/2012).

In generale, dunque, si definiscono BES tutti i “bisogni speciali” di quegli alunni che impediscano loro il normale apprendimento e richiedano interventi individualizzati.

Gli alunni con BES vivono una situazione particolare che li ostacola nell’apprendimento e nello sviluppo. Queste difficoltà possono essere globali e pervasive (si pensi all’autismo) oppure più specifiche (per esempio la dislessia) o settoriali (disturbi del linguaggio, disturbi psicologici d’ansia); possono variare anche per il livello di gravità ed essere difficoltà gravi o leggere, permanenti o transitorie.

Questi sono gli ambiti individuati del BES: funzionamento intellettivo limite; disturbo dello spettro autistico, sindrome di Asperger; difficoltà motorie, disturbi specifici di apprendimento DSA, disturbo dell'attenzione e iperattività ADHD, difficoltà emozionali (timidezza, ansia, inibizione), difficoltà relazionali e del comportamento (aggressività, oppositività, disturbi della condotta, tendenza all'isolamento, dipendenza, passività), disagi familiari (separazioni conflittuali, maltrattamenti, abusi, lutti), svantaggio economico e sociale (deprivazione culturale e condizioni di povertà), difficoltà fisiche (traumi o menomazioni), malattie croniche o acute (epilessia), alunni immigrati (difficoltà nella conoscenza della lingua italiana), disturbi dell'immagine di sé, difficoltà di autostima e auto-efficacia, insicurezza.

È un lungo elenco, che fa pensare che quasi tutti gli alunni abbiano un BES, anche come momento particolare e transitorio del loro percorso di crescita. In ogni caso, quello che la normativa ci dice è che a tutti gli studenti in difficoltà deve venire esteso il diritto alla personalizzazione dell’apprendimento.


Chi individua gli alunni con Bisogni Educativi Speciali?


La C. M. 8/2013 afferma che sono i Consigli di Classe e i team docenti nelle scuole primarie a dover indicare gli alunni in difficoltà rispetto ai quali si ritenga opportuna e necessaria l’adozione di una didattica personalizzata e di eventuali misure compensative e dispensative.

I docenti hanno il compito di formalizzare i percorsi personalizzati attraverso la redazione di un Piano Didattico Personalizzato (PDP), deliberato dai Consigli di Classe e dai team docenti e firmato dal Dirigente scolastico, dai docenti e dalla famiglia. Il PDP (introdotto con la legge 170/2010 sui DSA) deve consentire a tutti gli alunni, attraverso una azione didattica personalizzata, di raggiungere il successo formativo.

Anche in mancanza di certificazioni cliniche, il Consiglio di classe o il team docenti può motivare il rilevamento del bisogno educativo speciale e dunque la necessità di un PDP, sulla base di opportune osservazioni pedagogico-didattiche. Non è compito della scuola certificare gli alunni con Bisogni Educativi Speciali, ma è suo compito individuare quelli per i quali è opportuna e necessaria l’adozione di particolari strategie didattiche.

Si evidenzia però che, anche in presenza di richieste dei genitori accompagnate da diagnosi (che però non rientrino nei casi di certificazione di disabilità Legge 104 o di DSA legge 170), il Consiglio di classe rimane comunque autonomo nel decidere se formulare o non formulare un Piano Didattico Personalizzato, avendo cura di verbalizzare le motivazioni della decisione.


Dunque la scuola cosa può fare?


Le istituzioni scolastiche possono adottare tutte le forme di flessibilità che ritengano opportune come, appunto, l’attivazione di percorsi didattici individualizzati, nel rispetto del principio dell’inclusione degli alunni nel gruppo classe.

Dalla C.M. 8 del 6/3/2103: “Strumento privilegiato è il percorso individualizzato e personalizzato, redatto in un Piano Didattico Personalizzato (PDP), che ha lo scopo di definire, monitorare e documentare – secondo un’elaborazione collegiale, corresponsabile e partecipata - le strategie di intervento più idonee e i criteri di valutazione degli apprendimenti”.

La scuola può intervenire nella personalizzazione in tanti modi diversi, con l’obiettivo fondamentale di includere gli alunni con BES, di prevenire l’abbandono, contrastare l’insuccesso scolastico e fronteggiare altre eventuali problematiche come per esempio il fenomeno del bullismo.


E i ragazzi in isolamento sociale volontario?


In nessuna di queste leggi si troverà la parola Hikikomori, ma essa risuona in tutte le categorie di bisogno speciale che fanno riferimento al disagio esistenziale e sociale del giovane.

Lo studente che viva una tale situazione manifesterà sicuramente un disagio scolastico, espressione di fragilità emotiva e psicologica che condiziona negativamente la sua relazione con l’ambiente, i contesti e le persone.

Tutto ciò impedisce una partecipazione efficace al processo di apprendimento e consolida condizioni di reale marginalità, che possono condurre all’insuccesso e all’abbandono scolastico.

Ma, comunque, il termine Hikikomori è relativamente nuovo ed è facile comprendere come l’emersione di questo fenomeno abbia confuso e “destabilizzato” il mondo della scuola, non ancora in possesso delle giuste nozioni scientifiche e della giusta formazione per interpretarlo.

Si è parlato di “vuoto normativo” ed è sicuramente vero che le future linee guida, che emergeranno dal lavoro del tavolo tecnico predisposto dal Miur, saranno proprio la risposta a questo vuoto percepito, indicando finalmente una strada ben delineata che non sia più soggetta ad interpretazioni personali.

Ma è allo stesso tempo vero, come affermato anche dal Dott. Dell’Acqua del Miur nel suo discorso di apertura del convegno tenutosi in Regione Lazio lo scorso 22 novembre 2018, che la scuola ha la possibilità di fronteggiare efficacemente il fenomeno anche oggi, grazie alla libertà datagli dalla autonomia scolastica e grazie allo strumento altamente potente (proprio per la sua flessibilità) che è il PDP, di cui già dispone. Non è necessario che siano presenti presidi o insegnanti “illuminati”: bastano persone di buonsenso che sappiano mettersi in discussione e confrontarsi davanti a questa nuova realtà.

Diventa pertanto fondamentale l’alleanza reciproca tra scuola e famiglia: esse hanno il compito di lasciarsi interrogare da questo Bisogno che richiede un’attenzione appunto Speciale e hanno il dovere di comunicare e di collaborare per raggiungere il benessere dell’alunno.

Non è nemmeno necessaria una certificazione ma la famiglia, se vuole, può coinvolgere l’esperto, il professionista che “abilitato ad emettere una «diagnosi», ovvero un giudizio clinico attestante la presenza di una patologia o di un disturbo, può redigere, a richiesta del genitore/esercente la potestà genitoriale/tutore dell’alunno, apposita relazione clinica circa la necessità di attenzione particolare a bisogni e processi formativi. La suddetta relazione è consegnata alla scuola dal genitore fermo restando il principio secondo cui «… il Consiglio di classe è autonomo nel decidere se formulare o non formulare un Piano Didattico Personalizzato…» (Nota MIUR n. 2563 del 22.11.2013).

Famiglia e scuola insieme già da oggi, dunque, così da trovare la risposta più efficace per fronteggiare il fenomeno dell’Hikikomori e contrastare l’insuccesso formativo e l’abbandono scolastico.


Dott.ssa Giulia Migani 

Psicologa Hikikomori Italia Onlus | Regione Lazio





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