Negli ultimi anni si sono fatti importanti passi avanti nello studio dell'hikikomori, sia a livello internazionale, ma anche per quanto riguarda il contesto italiano. Recentemente un gruppo di ricercatori universitari ha anche lavorato alla costruzione di un questionario quantitativo che sia in grado di identificare i sintomi dell'isolamento sociale volontario, anche nelle sue fasi più precoci.
In questo articolo osserveremo i vari item che compongono il questionario e cercheremo anche di comprenderne i pro e i contro della sua applicazione concreta.
Come nasce l'idea del questionario?
L'hikikomori ad oggi non è un disagio ufficialmente riconosciuto dal DSM-5, il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali a cui fanno riferimento tutti gli operatori sanitari a livello internazionale. Eppure, sono ormai numerose le ricerche scientifiche che in tutto il mondo parlano di "hikikomori" ed è dunque possibile che questo termine verrà presto interpretato anche a livello nosologico.
Ne è sicuro
Takahiro A. Kato, ricercatore del
College of Medical Sciences dell’Università di Kyushu e uno dei più importanti studiosi al mondo del fenomeno degli hikikomori:
Il crescente riconoscimento internazionale dell'hikikomori lo ha portato nella sfera di competenza di molti ricercatori e professionisti sanitari, soprattutto sulla scia della lunga pandemia di COVID-19. Proprio quest'anno, l'hikikomori è stato riconosciuto nell'edizione rivista del DSM-5". fonte: Università di Kyushu
Attualmente non c'è ancora nulla di ufficiale comunque (forse lui sa qualcosa che noi non sappiamo?). In ogni caso Takahiro A. Kato è tra gli autori dello studio che nel 2018 ha proposto la prima versione di un questionario di 25 domande finalizzato a identificare la condizione di hikikomori.
Nel 2022 lo strumento è stato testato su un campione di 762 giapponesi disoccupati, i quali, tramite delle domande preliminari sullo stato di isolamento nell'ultimo mese, sono stati divisi in tre gruppi: gli "hikikomori", i "non-hikikomori" e i "pre-hikikomori" (quest'ultima considerata una condizione borderline con l'hikikomori). Dai risultati è emerso che i membri del gruppo "hikikomori" hanno riportato punteggi al questionario significativamente più elevati rispetto ai "non-hikikomori" e ai "pre-hikikomori".
“Questi risultati preliminari sono promettenti e mostrano che il nostro questionario può essere un buon strumento per la diagnosi precoce di hikikomori”, ha concluso Takahiro A. Kato.
Quali sono le domande inserite nel questionario?
In seguito a questa pubblicazione, anche dei ricercatori italiani della Sapienza di Roma, in collaborazione con Alan R. Teo (primo autore dello studio che ha realizzato il test originario), si sono attivati per creare una
versione italiana del questionario.
Qui di seguito potete leggere le 25 domande utilizzate, le cui risposte devono essere fornite su una scala di cinque punti che va da "Fortemente in disaccordo" (0 punti) a "Fortemente d'accordo" (4 punti). Le "R" identificano un peso inverso del punteggio (per esempio, per l'item "Mi piace incontrare nuove persone", ovviamente la risposta "Fortemente in accordo" contribuirà al punteggio finale con 0 punti, mentre quella "Fortemente in disaccordo" andrà a sommare 4 punti).
Il punteggio medio riportato è pari a 24.66: valore sopra il quale aumenta il rischio di trovarsi nella condizione di hikikomori.
Conclusioni
Sviluppare uno strumento quantitativo riconosciuto a livello internazionale per l'identificazione della condizione di hikikomori potrebbe rappresentare un punto di svolta fondamentale nel contrasto alla diffusione della problematica. Tuttavia, è importante considerare che, almeno in una fase iniziale, l'hikikomori si presenta come un disagio relazionale che non necessariamente sottende una componente patologica. Solitamente è infatti con il trascorre dei mesi, e con la cronicizzazione della condizione, che quest'ultima si "patologizza", ovvero si associa a tutta una serie di disturbi psicopatologici legati principalmente ai disturbi d'ansia e a quelli dell'umore.
Da questo punto di vista, l'eventuale inserimento dell'hikikomori nel DSM-5, e il suo riconoscimento come una categoria diagnostica a se stante, deve avvenire con estrema cautela, tenendo dunque presenti quelle che sono
le diverse fasi dell'isolamento sociale volontario. Utilizzare il criterio temporale dei 6 mesi di isolamento (come deciso dal Ministero della Salute Giapponese) rischia di essere fuorviante rispetto alla natura del fenomeno, il quale deve sempre essere interpretato come un
continuum dinamico e non come una condizione statica.
Dobbiamo anche stare attenti nel non trasformare il termine "hikikomori" in un'etichetta carica di stigma, poiché passare da parlare di "hikikomori" come di un fenomeno sociale, al parlare di "hikikomori" quale diagnosi medica ha sicuramente delle implicazioni importanti anche per quanto riguarda la concettualizzazione e l'interpretazione sociale del problema, sia dal punto di vista di chi ne soffre, sia da quello di chi lo osserva dall'estero.
Psicologo
Presidente Fondatore Hikikomori Italia