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Storie





Vuoi condividere la tua esperienza di isolamento sociale, attuale o pregressa? Scrivi a info@hikikomoriitalia.it







Ciao Marco, mi chiamo Luca e ho 42 anni. Ti ho scoperto attraverso dei video su Youtube in cui si parla di depressione esistenziale.

Beh, è esattamente quello di cui sono convinto io stia soffrendo da circa un anno e quattro mesi, almeno a livello conscio. La mia storia è stata sempre caratterizzata da più o meno lunghe fasi di depressione, angoscia e vari disturbi del pensiero e dell'umore, almeno a partire dai 15 anni.

A 19 anni, nel 1997, ho avuto una prima manifestazione di questo malessere profondo che è sfociata in quattro mesi di autentico inferno indescrivibile: oltre a una condizione di angoscia psico-somatica continua, avevo libere associazioni, allucinazioni psichiche, deliri di varia natura, manifestazioni ossessivo-compulsive, paralisi stuporose e chi più ne ha più ne metta.

Mi venne diagnosticata la schizofrenia irreversibile, ma in realtà ero lucidissimo e presente e avvertito tutta la infinita potenza del dolore.

Uno dei motivi del mio malessere, quello più chiaro a livello conscio, era la mia non accettazione estetica. A partire dai 16 anni circa mi ero così isolato progressivamente e costruito un mondo fantastico, con romanzi ad occhi aperti, una personificazione esemplare e perfetta di me come protagonista. Una cosa che mi sono trascinato dietro per oltre dieci anni e che, recentemente, è stata individuata dalla psichiatria come sindrome da fantasia compulsiva o "Maladaptive Daydreaming", di cui hai parlato anche tu su YouTube!

Solo a partire dai 26 anni ho avuto le mie prime esperienze sessuali e "sentimentali" reali, dopo appunto dieci anni di fantasie e idealizzazioni. Eppure tutte le mie relazioni sentimentali reali si sono rivelate un fallimento, credo proprio a causa del fatto che ho idealizzato, mentalizzato e intellettualizzato a tal punto donne, amore ed emozioni da aver bruciato ogni risorsa in un universo platonico e astratto, senza capacità di discernere nella realtà, di capire, di gestire, di sperimentare e "provare".

Ma veniamo ad oggi. Dall'autunno del 2018 vivo un infernale stato di malessere esistenziale. A caratterizzarlo sono due fasi che chiamo "terrore" ed "orrore" esistenziali: il primo ha a che fare con un'angoscia, a volte latente a volte manifesta e intensa, un senso di paura, di sgomento e di terrore, appunto, di fronte alla vita, al futuro, all'invecchiamento, alla morte.

La seconda, a cui sono meno abituato, ha a che vedere con la noia, il tedio esistenziale, un senso di vuoto ancestrale, di inutilità assoluta, di impotenza totalizzante di fronte al senso della vita e alla caducità delle cose. Questa miscela devastante dura da oltre un anno ed è davvero la prima volta che un malessere mi colpisce così a lungo. La durata, infatti, mi sta distruggendo e logorando, facendomi desiderare fortemente la morte.

In passato questi malesseri andavano via così come venivano, erano passaggi a vuoto gestibili che non superavano il mese, dopo di che avveniva una remissione pressoché completa dei sintomi e tornavo a vivere (o comunque a "vivacchiare") in maniera tutto sommato serena.

Da circa 25 anni sono seguito sia da psichiatri che da psicoterapeuti, ovviamente ne ho cambiati diversi nel corso degli anni e ho interrotto e ricominciato a più riprese entrambi i percorsi curativi. Assumo farmaci dai 19 anni (pure quelli cambiati e interrotti spesso).

Niente, la spirale è infernale, stretto come in una morsa senza via di scampo tra sensazioni "kierkegaardiane" (il filosofo danese è di gran lunga il pensatore esistenzialista che meglio rappresenta i miei stati, con la sua teoria dell'angoscia come scelta della possibilità tra opzioni infinite), percezioni alla Cioran-Camus-Hiedegger (specie il primo, con la sua "poetica" del caos e dell'assurdo esistenziale) e, più prosaicamente, tutta una serie di sentimenti con davanti il segno "meno" e di riflessioni che rimbalzano continuamente tra i due poli, sopra descritti, del terrore e dell'orrore esistenziali.

Hikikomori? Forse da adolescente e nella prima maturità lo sono stato. La "cura" con cui mi sono obnubilato e annullato, direi proprio annientato, soprattutto dal punto di vista fisico ed emotivo, è stata chirurgica, strenua e caratterizzata da una ferrea disciplina, degna degli antichi filosofi stoici greci e romani e degli antichi pensatori orientali.

Tuttavia, sono anche stato una persona socialmente attiva e fruibile, per lunghi tratti della mia vita addirittura dinamica, briosa, piena di interessi che ho sempre condiviso, con punte di "solarità" e di ricchezza e versatilità di stimoli notevoli, specie a partire dal 2010, anno in cui mi sono trasferito a Roma per lavoro (dove vivo tuttora, da solo, quindi lontano dal tetto familiare) e fino appunto al 2018, con piccolissime fasi "no" della durata di massimo tre mesi.

Per questo motivo, non saprei se rientro nella "categoria" psicologica di un hikikomori, probabilmente no, ma di sicuro rientro nella categoria di chi soffre di depressione esistenziale e la trova un mostro più terribile della depressione "tradizionale".

In questo anno e mezzo circa non ho mai mollato il lavoro, sono andato a lavorare in condizioni che definire allucinati e pietose è dire poco. Non ho preso un solo giorno di malattia, mi ci sono aggrappato con tutte le mie forze. Eppure sento che non è sufficiente. Ho anche cercato, appunto, di non isolarmi del tutto, uscendo di tanto in tanto e ovviando alla scarsissima vena sociale con contatti quanto meno virtuali.

Ho sempre fatto tutto quello che dovevo fare: spesa, cure mediche, controlli, acquisti, commissioni di varia natura, sedute di psicoterapia. Ho anche "risolto" il problema annoso della scarsa cura della casa facendo venire periodicamente una donna a fare le pulizie e portando, di tanto in tanto, i capi di abbigliamento in tintoria.

Insomma, un anno e mezzo di apparente "normalità", per chi mi osserva da fuori, ma, in realtà, un anno e mezzo di purissimo male di vivere, a cui non vedo soluzioni e vie di uscita e che, proprio anche per la sua durata, mi sta portando ad una assoluta e totale rassegnazione e consapevolezza "terribile" di ciò che sono.

Scusate il lungo scritto.

Non so mica bene cosa chiedervi e il motivo per cui ho scritto. Forse, qualora vogliate rispondere, sarete voi a dirmelo.

Un abbraccio.






Ciao, mi presento: sono un ragazzo sardo che va verso i 25 anni e sento di potermi definire un hikikomori.

Da un bel po' di tempo non esco di casa con qualcuno, non ho più contatti umani, non mi sento più con nessuno, a parte con i miei genitori, con i quali ho un rapporto molto difficile, specialmente in questi ultimi tempi.

Sono sempre stati dei genitori molto protettivi, molto severi con cui non si può costruire un dialogo, che mi hanno sempre e solo visto come un voto scolastico/universitario, che non fanno altro che fare paragoni con altri facendomi sentire inferiore, quasi un peso per loro.

Ricordo ancora mia madre che, una notte che ero in cucina e stavamo parlando, mi ha detto che lei fa "una vita da cani per colpa mia".

Mi hanno sempre creato stress, ansie, paranoie, in particolare dalla quinta superiore, anno della maturità scolastica. Ricordo che mia madre (mio padre lo vedo poco per via del lavoro) mi stressava col fatto dell'esame di maturità, come se fosse una questione di vita o di morte, come se fosse la cosa più importante del mondo. Questo mi aveva portato a sviluppare ansia e stress (che mi porto dietro tuttora) che sfogavo con la masturbazione compulsiva: certi giorni arrivavo veramente al limite per quanto fossi stressato, ma era l'unico modo per levarmi dalla testa i pensieri della maturità

Ora, per fortuna, ho smesso con i porno, ma penso sia stata una delle cause del mio isolamento, dato che la visione di questi video mi creava sollievo, fino a quasi averne una dipendenza.

Ricordo che quell'estate avevo anche fatto subito il test d'ingresso per l'università (mi ero iscritto in ingegneria biomedica) perché mia madre non voleva che perdessi assolutamente tempo e diceva che se avessi aspettato non l'avrei mai passato.

Tra l'altro, durante quel periodo, non avevo studiato (idem per la maturità): leggevo i libri per prepararmi ai test in maniera leggera perché lo stress e l'ansia non riuscivano a farmi concentrare. Durante quell'estate non ero quasi mai andato al mare.

Quando è iniziata l'università, i primi anni sono andati abbastanza bene, avevo passato un buon numero di esami, ma per mia madre non era sufficiente perché i miei voti non erano abbastanza alti.

Non faceva altro che fare confronti con mio fratello, che andava meglio di me a scuola (tutt'ora all'università) e questo mi faceva sentire parecchio giù di morale, mi faceva sentire uno schifo, un essere inferiore.

Dal terzo anno è accaduto ciò che continua a ripetersi oggi: non sono più riuscito a dare un esame, lo stress e l'ansia hanno preso il sopravvento e ormai sono due anni che non faccio altro che sforzarmi per studiare, come se fossi costretto: apro i libri, i quaderni, ma non riesco a concentrarmi.

Durante questo periodo non andavo più nemmeno a lezione. Seguivo bene il primo mese e mezzo, poi l'altro mese e mezzo non riuscivo ad andare, come se avessi paura anche di farmi vedere dagli altri colleghi, specialmente da quelli più piccoli, come se dicessero "Ma cosa ci fa ancora questo a lezione".

E intanto la mia masturbazione compulsiva aumentava. Durante il periodo in cui non andavo a lezione mi rinchiudevo in camera e guardavo porno in continuazione. Piangevo, piangevo sempre.

Quando i miei genitori mi hanno sentito e gli ho detto che piangevo spesso per il fatto che fossi stressato, mi hanno detto che ero un esaurito, che non ero normale e cose del genere. E durante questo periodo non sono quasi mai uscito con nessuno: negli ultimi 3 anni sono uscito di casa con qualcuno solo due volte perché mi sentivo quasi costretto.

E quelle volte mi sentivo guardato, mi sentivo diverso dagli altri, avevo paura del loro giudizio (anche se in realtà l'ho sempre avuto, essendo stato, fin da bambino, insicuro, timido, complessato, riservato).

Da qualche settimana mi sono pure reso conto che sono stanco di studiare ingegneria, stanco di fare solo teoria, dimostrazioni e nessun esame di pratica e ho capito che preferirei fare altro.

Durante questo lasso di tempo ho compreso che vorrei fare fare il test di professioni sanitarie per entrare in fisioterapia, o comunque una laurea breve in modo da avere maggiori possibilità lavorative, senza dover prendere altre lauree magistrali o master.

Vorrei parlarne con i miei genitori, ma ho veramente parecchia paura e già il fatto di pensare a una cosa del genere, mi viene una sorta di ansia, angoscia, stress.

Ho veramente paura del mio futuro e non so cosa fare.





Sono un ragazzo di 20 anni.

Ho vissuto un'ottima infanzia, grazie soprattutto ad una famiglia unita, che mi ha sempre fornito la possibilità di essere me stesso, creando un ambiente accogliente in cui ho potuto esprimermi al meglio, anche "creativamente".

Anche il rapporto con il mondo esterno era piuttosto buono, riuscivo a fare amicizia tranquillamente, nonostante fossi pure allora timido e avessi interessi non molto comuni. Nel corso degli anni si è creato un buon gruppo di amici, con il quale mi sono sempre trovato molto bene.

Ma è da quando ho 15 anni che, in seguito ad alcune esperienze, mi sono davvero reso conto di quanto superficiali e brutali siano i rapporti umani. Pian piano il guscio caldo e accogliente che si era formato durante la mia infanzia si è rotto, facendomi chiudere sempre più in me stesso.

Da quel momento non sono più stato in grado di rapportarmi al mondo come un tempo, e la reazione dei miei amici, che si erano accorti in parte del mio cambiamento, causò una chiusura anche nei loro confronti, portandomi a sviluppare un sentimento di incomprensione che mi accompagna tuttora.

Durante le superiori mi sono reso conto di quanta difficoltà avessi nel rapportarmi con i miei coetanei. Nel corso dei primi mesi mi ero già autoescluso; semplicemente non avevo nulla da dire, non ho mai maturato un interesse nei loro confronti.

Dopo due anni mi sono staccato anche dall'unica persona con la quale riuscissi a sostenere delle conversazioni. Ero diventato un fantasma, e la cosa finì anche per non dispiacermi, poiché dopotutto ero stato io ad escludermi dal contesto.

Volevo solo preservare la solitudine e la trasparenza che mi ero conquistato. L'importante era che non si accorgessero di me (infatti gli unici momenti in cui provavo un reale disagio erano quelli al di fuori delle lezioni, come ad esempio la palestra, i lavori di gruppo ecc.).

Nel frattempo mi ero completamente alienato dal mondo, pur uscendo spesso con i miei amici "storici", ma sviluppando una forte fobia sociale che tuttora non mi permette di uscire di casa tranquillamente, soprattutto se sono solo.

Nonostante tutto sono riuscito a diplomarmi, decidendo poi di iscrivermi in un'università, lontano dal mio luogo d'origine.
Fatto sta che, dopo solo pochi mesi , mi sembra di aver fatto una scelta terribile.

Ora sono io che devo gestire me stesso e i miei studi e, nonostante abbia scelto una facoltà che mi piace, mi riesce ancora difficile studiare senza avere una fortissima motivazione.

Il fatto è che durante gli anni delle superiori ho riscoperto varie passioni che oramai non consideravo più come tali (letteratura, cinema, musica ecc.), provando a diventarne partecipe non solo come fruitore, come già provavo a fare durante la mia infanzia.

Ma avevo sottovalutato la mia incapacità di studiare per un fine che non sia esclusivamente quello di soddisfare un forte desiderio di curiosità, non ho mai potuto concepire altri "metodi" di studio.

Per cui sino ad ora ho frequentato soltanto due lezioni, e il fatto di non essere riuscito a parlare con nessuno ha riattivato il mio sentimento di solitudine ed estraneità.

Non voglio che anche questa fase della mia vita diventi un compromesso per stare al mondo, come era avvenuto durante le mie precedenti esperienze scolastiche, ma non vedo vie di uscita, e ho scelto di frequentare l'università perché fondamentalmente non vedo altre alternative che possano permettermi di vivere delle mie passioni.

Ho cambiato tre psicologi in circa 6 anni, ma nessuno mai è stato in grado di mostrarmi un'alternativa di vita concreta adatta al mio carattere, o almeno di farmi scoprire qualcosa su me stesso che già non sapessi.

I miei unici maestri sono artisti e pensatori ormai morti, grazie ai quali intravedo le uniche possibilità di un cambiamento, anche a costo della propria autodistruzione, ma vivendo intensamente anche per poco.

Ma questo non basta, ho bisogno di trovare qualcuno con il quale intraprendere un percorso, da solo non sono in grado, manca quella spinta necessaria ad agire, che infatti non possiedo.

Un possibile processo di guarigione lo intravedo, ma sarebbe troppo lungo, e avrei bisogno di dedicarmici completamente, non mi sento in grado di sostenere gli impegni che nel frattempo mi sono richiesti.

Come dicevo, ho bisogno di una forte motivazione per svolgere qualunque compito, legato anche alle mie passioni; non riesco più neanche a illudermi di trovare un luogo accogliente in cui poter essere me stesso, anche con le mie debolezze, e l'ambiente universitario mi sembra lontanissimo da ciò.

Nel frattempo il mondo va avanti e io ho la sensazione sempre più inquietante di perdere del tempo prezioso, che potrei non essere mai in grado di realizzarmi per le mie potenzialità, e questo a causa di un'ansia costante che mi paralizza, gettando via anche solo l'idea di potermi mettere in gioco.

Io amo fortemente la vita, ma di certo non questo modello di vita in cui siamo immersi, illudendoci anche di essere liberi; sarò idealista, ingenuo, ma non riesco davvero a scendere a patti con il mondo.

Un barlume di speranza che qualcosa possa cambiare in me è ciò che mi permette di non lasciarmi andare completamente, ma non sono comunque in grado di attivarmi per modificare qualcosa, non ho una forza di volontà sulla quale fare affidamento.

Credo che la società abbia dei problemi talmente radicati da non poter essere cambiati, e l'individuo che svela queste illusioni rimane irrimediabilmente solo, a meno che non sia particolarmente fortunato nel trovare un ambiente adatto.

Mi vergogno terribilmente delle mie debolezze e della mia sofferenza, e non ho mai trovato qualcuno in grado di capirla davvero, evitando di banalizzarla.

Ho scritto queste parole nella speranza di ricevere un consiglio, un'alternativa che, da solo, non riesco a intravedere.


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Ciao, sono Giuseppe e ho 21 anni.

Sarò probabilmente il meno prolisso di tutti avendo preso la decisione, appena qualche mese fa, di chiudermi barricato letteralmente nella mia stanzetta e vegetare solo e solamente qui. Tutto è accaduto quando ho capito ufficialmente che questo mondo non fa per me, e non è una frase fatta. Ma parto raccontando la mia storia.

Ho trascorso un'infanzia, se non allegra, quantomeno serena e tranquilla, anche se le prime avvisaglie di grossa chiusura totale sono arrivate già all'asilo alle elementari. Alla scuola calcio si manifestarono i primi attacchi di panico e di tachicardia, ma il vero dramma iniziò con le medie, dove non potevo assolutamente scampare al bullismo, che ha peggiorato ulteriormente le cose facendomi diventare ancora più insicuro e solitario di quanto già non fossi.

Non sono mai uscito la sera: l'ho sempre rifiutato in qualsiasi maniera, nonostante mi venisse continuamente detto da tutti che non mi mancava niente, che non ero inferiore a nessuno, che ero di bell'aspetto, ecc. Fino alla tanta agognata patente, dove sono iniziate le prime uscite-taxi con la mia macchina: un trauma.

I miei genitori, mia mamma in primis, me lo ricordavano sempre che non ero come tutti gli altri, che non ero normale, che non avevo una fidanzata (tuttora mai avuta), e così via.

Non nascondo che mi sento peggio di un anziano, senza voglia di vivere, apatico e timoroso. Soffro di ansia, depressione, attacchi di panico e alcuni disturbi di personalità, e nonostante essermi affidato a psichiatri, psicologi e al CSM, niente sembra funzionare.

Anche alle superiori il bullismo riprende, già dal primo anno, come due corde legate e indissolubili fra di loro.

Cinque anni fatti di giornate scuola-casa/casa-scuola, senza mai uscire e respirare l'aria inquinata di questa vita così brutale e assassina, che, se rimani indietro o non ci sai fare, ti assale e ti lascia senza scampo.

Diplomatomi e fatto qualche lavoretto (più su forzatura che volontà propria), i litigi con i genitori, sempre più presenti e pressanti, hanno portato a vari episodi estremi, come a farmi scappare di casa finendo a "Chi L'ha Visto".

Ciò mi ha fatto prendere la decisione di recludermi e ora ho sempre più paura, perché questo porta a un bivio dove bisogna scegliere se gioco valga la candela: stare al sicuro, ora, senza avere certezze sul futuro (che ne sarà poi di me? Come mi manterrò quando sarà il momento?), oppure provare a uscire fuori, come mai ho fatto, a testa in giù, provando a resistere la sofferenza e il disagio inevitabile che ciò comporta.

Questa era la mia storia. Spero vivamente che le cose migliorino. Grazie


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Sono un ragazzo di 16 anni e da circa un anno ho scoperto di rientrare nella categoria hikikomori. Scrivo a voi anche perché ho bisogno di riprendere in mano il controllo della mia vita.

La mia vita inizia nel miglior modo possibile, con tanto affetto e voglia di vivere, ma tutto cambiò quando mio padre morì a causa di un tumore. Io all'epoca avevo 4 anni e non mi resi conto subito di quello che era successo. Solo negli anni successivi iniziai a capire che mia madre e parte della mia famiglia avevano subito i danni che un lutto del genere provoca.

Le elementari mi portarono gioie, ma anche insuccessi e delusioni, che però riuscivo a sopportare. Alle medie riuscii a ambientarmi abbastanza bene, eppure adesso che ci penso, inizio a credere che già in quel periodo accadevano degli episodi un po' strani. Infatti molte volte mi dissero i miei amici delle medie che "stavo cambiando". Siccome sono una persona a cui importa notevolmente il giudizio delle altre persone, iniziai a farmi delle domande. 

E così iniziano le superiori... non l'avessi mai fatto! In realtà i primi mesi furono bellissimi. Il problema nacque quando fui preso di mira da una ragazza con cui tuttora condivido la stessa classe. Per carità, i bulletti/fighetti che prendono in giro non sono mai mancati nella mia vita, come penso nella vita di tutti. Il fatto che io sono non molto alto di statura ha contribuito a farmi un paio di nemici nelle varie scuole. 

Così iniziai a non capire perché questa ragazza, che prima era mia amica, ce l'avesse con me. Di lì a poco un mio amico, che era anche amico della ragazza in questione, iniziò a voltarmi le spalle. Così iniziai a diventare paranoico e piano piano a isolarmi. Successivamente i problemi si intensificarono. Infatti ormai tutti si erano fatti un "gruppetto", e non parlo solo dei miei compagni di classe, ma anche e sopratutto dei miei coetanei. 

La cosa che più mi distrugge e mi fa stare male (so che è una cosa stupida ma la devo dire) è ogni volta che apro vari social network e vedo foto/video di gente che in qualche maniera costruisce ricordi e bei momenti con altre persone. 

In questi anni ho trovato rifugio un luogo, che vedo però troppo poco (durante le ferie di Ferragosto), un luogo che mi ha fatto conoscere molti miei attuali amici (di varie regioni lontane dalla mia sfortunatamente ) e le uniche 2 mie fidanzate che ho avuto. 

In questo periodo sto pensando molto a cosa fare per riprendere in mano la mia vita. Una cosa che aiuta notevolmente è il fatto di sapere che non sei l'unico in questa situazione. Ma d'altro canto io non riesco più a stare in casa e guardare giorno dopo giorno la mia vita che perde valore. Ho cercato di parlare a mia madre di questa mia situazione. Adesso cercheremo di trovare una soluzione, anche perché nella mia testa a volte passano pensieri non belli e molto pericolosi per me stesso. 

Concludo ringraziando voi di questo sito perché mi avete aperto gli occhi. Infine vorrei dire che ho bei ricordi di quando non mi sono isolato. Ricordi che mi fanno capire che ho scelto IO di isolarmi. Non dimenticare il passato è una cosa che aiuta. Inoltre vorrei dire che la mia più grande paura è questa: ho paura che le altre persone vivano a pieno la loro vita mentre io me ne sto qui a guardarla mentre va a rotoli, senza poter fare niente per migliorarla. 

Questa era la mia storia. Spero vivamente che le cose migliorino. Grazie


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Sono un ragazzo di 23 anni, che da relativamente poco ha scoperto di rientrare nella definizione di ''hikikomori''.

La mia vita incomincia in un piccolo paesino di provincia nel Lazio, Collefiorito, e sono il quinto di sei figli, con genitori divorziati e con una madre ormai sola ad occuparsi di un branco di disadattati cronici. La solitudine fisica nella mia famiglia è quindi un concetto fuori luogo e completamente estraneo, tanto che non ho mai avuto, se non ultimamente, una stanza solo mia, o anche un
un posto all'interno del focolare domestico dove potessi rimanere per un attimo in pace. Nonostante questo sono un bambino assai felice, magari non troppo sveglio, e decisamente in sovrappeso, ma comunque sereno. 

I problemi iniziano alle medie: il mio aspetto è costantemente preso di mira dai miei compagni. Il contesto in cui mi trovo è lontano rispetto a quello a cui appartengo, infatti mia madre mi iscrive per questioni economiche alla scuola di un altro paesino vicino, e il bullismo è soprattutto fisico.
Tuttavia non manco mai da scuola, e le botte me le prendo tutte. 

Poi arriva il momento di decidere il proprio percorso scolastico e, avendo sempre avuto una passione per il disegno, propongo a mia madre il liceo artistico, ma lei, forse per paura che io prenda la strada di mio padre, pittore e disoccupato, rifiuta categoricamente e mi butta a fare lo scientifico nella capitale. Due traumi in uno: a Roma non conosco nessuno, gli iscritti al liceo sono decisamente in maggior quantità rispetto al numero di persone che i miei occhi sono abituati a percepire, in più il rifiuto di mia madre ha incominciato a fare nascere in me il pensiero che la mia passione non valga nulla.

Mi isolo praticamente subito, vergognandomi soprattutto del mio aspetto fisico. Tutti all'interno della mia classe si conoscono e io vengo già guardato con una certa sufficienza.
Il periodo del liceo rimane tutt'ora una parte del mio passato che mi tormenta e mi addolora tantissimo, in cinque anni infatti continuo a non conoscere nessuno, nemmeno la mia classe, assumo il più delle volte un comportamento scorretto nei confronti delle persone, tanto che ad un
semplice saluto rispondo ''muori''. 

Le mie insicurezze mi portano molto presto ad una profonda depressione e ad una solitudine soprattutto mentale, dato che per me è impossibile non frequentare la scuola o saltarla restando a casa, perché avere quattro fratelli più grandi di te è come avere cinque genitori e uno sbaglio,
una bravata, possono portare una tensione insostenibile. 

Di conseguenza perdo l'appetito insieme alla voglia di vivere, dimagrisco a vista d'occhio e il suicidio
diventa nella mia mente un'alternativa quasi logica, e per nulla assurda, per risolvere ogni tipo di problema. In realtà dopo circa dieci anni continua ad essere una spada di Damocle che aspetta solo di cadermi in testa.

Durante la mia non-vita da liceale scopro di essere omosessuale, non può mancare nella lista, ovviamente, il vivere male la propria sessualità, e quindi faccio anche quello. Riesco a prendere il diploma e tento l'università, facoltà di Architettura. Passo il test anche brillantemente e riscopro dopo tantissimo tempo il piacere di avere degli amici. Ma il paradiso dura solo due anni, studiare infatti non è più nelle mie corde e lascio tutto, mi chiudo di nuovo in me stesso e cerco di scappare dalla solitudine frequentando qualche ragazzo grazie a vari siti d'incontri, con la scusa di voler vivere al meglio la mia sessualità.

Ma questo non basta e la mia mente è ogni giorno bombardata dai mille pensieri esistenziali e sul futuro, in aggiunta la pressione della mia famiglia, il fatto di dover fare coming out e lo stress emotivo mi portano alla perdita dei capelli: l'alopecia. La conseguenza quasi logica è che adesso mi sento ancora più insicuro del mio aspetto e quindi addio ogni tipo di relazione sentimentale, e direi anche per fortuna perché col senno di poi mi rendo conto di quanto sia ingiusto cercare di farsi amare dagli altri per sentirsi meno soli, senza in qualche modo ricambiare.

Per quanto riguarda il coming out, dico a mia madre che mi piace la melanzana, lei capisce, ride e tutto finisce nel silenzio. Sono stato molto fortunato ad avere mia madre, lo devo ammettere.

Da tutta questa situazione sono passati circa due anni: l'alopecia è diventata una mia caratteristica ormai e anzi quasi mi piace, mi ha liberato inaspettatamente da tutte quelle piccole ansie su i miei
capelli che ora non ho più, e ne ho approfittato pure per qualche piercing per aumentare il mio già immenso fascino (ovviamente scherzo); ho imparato ad essere auto-ironico, ad evitare di giudicare, di essere comprensivo, ma non sono libero dalla solitudine (vivo infatti quasi da eremita, ho pochissimi contatti anche con la mia famiglia), la depressione e l'ansia sociale. Ho mille dubbi sul mio futuro, ma la vita mi sta insegnando ad essere paziente.

Nel frattempo ho ripreso la mia passione e miglioro giornalmente (nulla dies sine linea, diceva Apelle), dentro di me sento che è l'unica cosa che mi tiene ancora a galla.
Progetti per il futuro: diventare illustratore, magari per spiegare meglio alla gente cosa significa essere come me.


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Ho 23 anni e vivo in un piccolo comune montano del Nord Italia. Un contesto sociale molto ristretto e intimo che mi ha garantito un'ottima infanzia.

Ho svolto tutto il percorso scolastico dall'asilo alle medie con gli stessi compagni di classe e in generale sono cresciuto circondato dal medesimo gruppo di coetanei.

Contrariamente alla maggior parte delle persone con problematiche sociali, ho avuto un'esperienza scolastica molto positiva, soprattutto se si parla di rapporti con chi era seduto tra i banchi insieme a me.

La mia vita è trascorsa liscia come l'olio fino al termine delle medie, ultimate le quali ho dovuto scegliere una scuola superiore, e non avendo la minima idea sul da farsi mi sono fidato dell'opinione dei miei insegnanti dell'epoca, che mi hanno spinto verso studi liceali.

Anche se non con molta convinzione mi sono iscritto allo scientifico. Naturalmente gli istituti superiori si trovavano in una cittadina più a valle, a mezz'oretta di auto da casa.

Per molti potrebbe sembrare una sciocchezza, ma passare da una scuola media i cui iscritti erano al massimo una trentina, ad un istituto con centinaia di studenti, è stato un cambiamento non da poco, senza considerare che ero ancora molto legato alla mia vita precedente, fatta di persone conosciute da sempre. Vedere tutti i miei vecchi amici sparpagliarsi nei più disparati indirizzi di studio è stato un colpo basso, ma c'era comunque curiosità in vista della nuova avventura che mi attendeva. Avventura che però durerà solo due anni; nonostante buoni rapporti all'interno delle mura scolastiche, non reggo i ritmi della nuova vita, non li accetto, e a metà del secondo anno tiro i remi in barca; pur continuando a seguire le lezioni, smetto di impegnarmi sui libri (cosa che forse non avevo mai iniziato a fare) e mi farò bocciare.

A settembre, per salvare la mia carriera scolastica, mi iscrivo ad un istituto professionale, dal quale uscirò diplomato quattro anni più tardi.

Nel frattempo oltre ad aver perso i contatti con i compagni del liceo, anche i legami con gli amici del paese iniziano a sfilacciarsi, soprattutto a causa di miei rifiuti ad uscire con frequenze per me insostenibili.

Al di fuori del tempo passato tra i banchi, non ho alcuna vita sociale. La cosa non mi crea problemi, in quanto dopo ore trascorse con i compagni sento il bisogno di stare da solo, nonostante le relazioni con questi ultimi fossero tutto sommato positive.

Questo andazzo prosegue fino al termine degli studi, nell'estate di tre anni fa.

Da quel momento la mia vita cambia radicalmente. Mi accorgo che senza la scuola non ho alcuna occasione per relazionarmi con coetanei. Gli unici con cui sono rimasto in contatto, conoscenti di lunghissima data, sono impegnati in studi universitari in un'altra provincia e sono sempre meno presenti a casa. Inoltre, come logico che sia, nel mentre coltivano altri rapporti che inevitabilmente fanno passare il nostro in secondo piano.

Nell'autunno dello stesso anno mi trovo per la prima volta a fare i conti con la solitudine, trascorrendo anche diversi mesi senza sentire e soprattutto vedere nessuno. Non si tratta di isolamento volontario, anzi, ma allo stesso tempo non faccio nulla per ovviare al problema, sentendomi impotente.

In questo periodo sono comunque impegnato sul lavoro, che è fondamentalmente l'unica cosa che mi porta ad uscire di casa, ma che non mi offre alcuna occasione per dare una svolta alla mia situazione.

Durante gli anni seguenti, fino ad arrivare ad oggi, la mia vita sociale consiste sostanzialmente in occasionali visite ai precedentemente citati conoscenti e in un numero di uscite serali annuali che si possono contare sulle dita di una mano, condensate quasi esclusivamente nel periodo estivo.

Naturalmente tutto il tempo trascorso alla larga dalla socialità ha avuto pesanti ripercussioni sul mio modo di stare in mezzo agli altri, a causa dell'atrofizzarsi delle abilità sociali di base.

Devo però dire che con il tempo ho fatto un po' il callo alla solitudine; se inizialmente vivevo il trascorrere mesi senza contatti diretti con coetanei in maniera tragica, oggi ci faccio meno caso. Inoltre il mio umore è tendenzialmente stabile e non influenzato più di tanto dai pensieri esistenziali che in maniera quasi costante rimbalzano nella mia mente.

Come forse avrete notato, durante il racconto non ho fatto alcun riferimento a relazioni amorose. Non ho infatti mai vissuto esperienze di questo tipo. Non solo non ho mai avuto rapporti sessuali, ma non ho mai baciato, abbracciato o tenuto per mano una ragazza.

Questa situazione è ovviamente per me motivo di grande imbarazzo, oltre che di malessere e frustrazione in generale.

Non ho da ormai moltissimi anni alcun tipo di confronto con l'altro sesso, con cui ero invece molto a contatto durante l'infanzia. Ho sempre vissuto il relazionarmi con le ragazze in maniera molto innaturale e da sempre ho avuto problemi nel dimostrarmi interessato, cosa che mi ha portato a non espormi mai, probabilmente a causa dell'ambiente famigliare in cui sono cresciuto, caratterizzato da un rapporto di coppia tra i miei genitori molto atipico.

Non mi ritengo di aspetto sgradevole, ma ho lacune sociali e un bagaglio di esperienze molto limitato per un ragazzo della mia età, cose che sicuramente hanno un peso non indifferente.






Sento la necessità di raccontare la mia vita a qualcuno. Sono un ragazzo di 19 anni e in vita mia non sono MAI uscito con gli amici e non ho mai avuto una relazione sociale con nessuno al di fuori della scuola.

Ora è estate e ho finito le scuole superiori, quindi mi sento ancor più perso e depresso di prima, visto che mentre i miei coetanei escono tutti i pomeriggi e tutte le sere io passo le mie giornate davanti a play, tablet e computer.

Pochi giorni fa ho chattato con un mio amico di scuola, colui che potrei definire il mio migliore amico, e abbiamo scherzato tra di noi in chat. Poi lui mi ha chiesto di uscire insieme a dei suoi amici, dicendomi che sarebbe passato a prendermi a casa mia. Io non gli ho risposto perché la paura era troppo grande, questo perché soffro di ansia sociale, quindi ho paura di stare con gli altri, ho paura di mangiare in pubblico, mentre quando sono in caso mi svago con la Playstation o su yYouTube e mi sento tranquillo e felice. Eppure, allo stesso tempo, sono depresso perché mi sento diverso dagli altri, mi sento un hikikomori, perché passo giorni senza uscire di casa, solo talvolta con i miei, per andare dai nonni o per andare all'autoscuola (anche solo il pensiero di guidare con persone sconosciute accanto mi fa venire un'ansia pazzesca).

Io voglio superare questa mia paura, che io definisco una malattia, però non ce la faccio proprio. Con i miei non ho un rapporto di confidenza, sono solo i miei genitori per natura, ma nulla di più, non mi confido mai con loro, anzi mio padre ha un carattere molto forte, e io mi sento come sottomesso, inferiore. Grazie per avermi ascoltato, avevo bisogno di parlarne con qualcuno.





Se dovessi raccontare la mia esperienza di isolamento sociale volontario inizierei con il dire che è stata un’esperienza imprevista ma necessaria. Oggi ho 29 anni e di mestiere sono un’educatrice, il che sembrerebbe totalmente stonato rispetto ad un vissuto di ritiro, evitamento e crisi – chiamiamola pure esistenziale – che ho vissuto. Tuttavia credo fortemente che nella professione educativa si fa ciò che si è e tutti siamo persone ferite e vulnerabili, anche chi è di aiuto e supporto ad altri. “Il guaritore ferito” è una di quelle etichette che ho cercato di portare sempre con me, nel lavoro, e non solo. Un graffio necessariamente non è una maledizione ma forse una cicatrice con cui essere più cauti e meticolosi. Tutto qui.

Tornando al mio periodo di rinascita, perché di questo si trattava, è durato all’incirca quattro anni con all’interno momenti più o meno intensi dove il tempo sapeva scorrere molto lentamente. E’ iniziato tutto dopo essermi laureata in pedagogia e, dopo anni e anni dentro un sistema scolastico e universitario che ti ingloba, sentirmi buttata “nel mondo” ha avuto l’effetto di destabilizzare quell’impalcatura che mi aveva da sempre sostenuta. Ma che in fondo era ormai un vestito troppo stretto. L’isolamento vero e proprio è stato molto graduale, ci sono voluti un paio d’anni di forte tensione familiare e nella rete delle amicizie in cui stavo contrastando ogni idea, valore e abitudine che non avevo mai messo in discussione durante il periodo adolescenziale. Quest’ultimo molto intenso ma dove ogni spinta di espressione – la mia voce – veniva somatizzata o incanalata (per fortuna) nello sport. Questi due anni di rovesciamento hanno portato ad una fortissima rabbia che si stava manifestando in me, da tempo compressa e taciuta. Non trovando comprensione, empatia e rispetto poco alla volta sentivo di non voler condividere più il tempo e le mie energie con gli altri. Famiglia compresa. Perché, se mostrarsi per come si era veramente significava essere attaccati o a tutti i costi deformati in altro, non accettavo più il prezzo di delegarmi alle altrui disposizioni.

Così ha inizio il mio ritiro in cui ho mantenuto fino alla conclusione di questo il solo contatto della mia psicoterapeuta. La quale per l’intero periodo del mio isolamento ha avuto nei miei confronti una disponibilità illimitata per tempi, orari e gestione di ogni passaggio difficile. L’isolamento ha inizialmente coinvolto la mia stanza in cui trascorrevo le giornate disperandomi o a letto sperando che il tempo passasse e il mattino arrivasse. Sentivo di essere causa e responsabile di un immenso dolore per la mia famiglia, ma ciò nonostante non tolleravo più che l’espressione autentica di un malessere personale dovesse essere reclusa perché troppo diffusa l’incapacità di “stare con” le proprie fragilità o la propria vita interiore. Figuriamoci con quelle degli altri.

Intestardendomi in questa lotta per l’espressione del mio disagio ho iniziato una mia personale ricerca. Chi ero io? Senza accomodamenti per convenienza, paura o manipolazione. In questo anno di ricentratura su di me ho usato quanto avevo per lavorare con grande coraggio, passione e determinazione. Alternando periodi, per l’inattività e il poco movimento, di stanchezza o sfiducia. Mi sono stati compagni di ricerca i libri, la scrittura, la pittura e in generale il computer è stato uno strumento per il mio studio. Guardavo conferenze, video e seguivo corsi online che ho svolto per aiutarmi, in particolare sulla mindfulness.

Quando lo spazio in camera non lo riuscivo più a percepire come “sicuro” o abbastanza riparato da quanto si stava creando intorno a me (la fatica familiare, il senso di vergogna e impotenza) ho deciso di trasferirmi a Milano. Qui ho abitato per più di 6 mesi in un monolocale minuscolo al quarto piano di un palazzo. Non uscivo mai perché Milano, nonostante vi avessi studiato felicemente per cinque anni all’università, era diventata troppo. Troppo di tutto e di tutti: la frenesia mi stordiva, della gente, dell’indifferenza e del sentirmi sensibile, introversa, sbagliata.

Trascorrevo le giornate guardando la tv, serie tv crime e poliziesche, che mi davano una blanda rassicurazione che anche di fronte ai crimini peggiori ci sarebbe stata un po’ di giustizia. A quel tempo, per me, andava bene così. Poi l’appartamento divenne soffocante e lo spazio sembrava troppo piccolo ma fuori era ancora tutto troppo grande. Sostanzialmente non avevo più riferimenti per stare nella vita quotidiana. Come una bambina dovevo fare esperienza daccapo. E che grande opportunità, ora mi viene da dire. Se non fosse crollato tutto sarei continuata ad essere una maschera e l’ombra di me stessa.

Ritornata al mio paese, dalla camera ho sentito il bisogno di immergermi nel mio giardino. La natura è stata terapeutica con la sua lentezza e l’alternanza di inverni e fioriture. Come ho detto, ho sempre scritto, letto e dipinto. Non facevo altro e se è vero che, se la luce non si vede in fondo al tunnel bisogna arredarlo, la mia camera ha preso un sacco di colore. Ho iniziato, per caso, ad appassionarmi di poesia a scriverla e leggerla. Partecipavo a concorsi letterari con grande soddisfazione per i risultati che ottenevo, nonostante non andassi a ritirare di persona i premi che vincevo. Ho scoperto che molte storie, nascoste dietro ad autori e artisti, sono piene di drammaticità ma del desiderio di dare forma e creare proprio dentro queste tragedie. Sarebbero tanti i nomi che dovrei menzionare di scrittori e poeti che mi hanno fatta sentire a casa. Fra tutti Emily Dickinson con la sua “dove tu sei, quella è casa”.

Poco alla volta il desiderio di prendermi cura di me e di portar-mi là fuori ha preso forma ma non ne ero più capace. Avevo bisogno di qualcuno che mi aiutasse ad uscire e con l’aiuto della mia psicoterapeuta trovai una ragazza meravigliosa disposta ad aiutarmi. Non mi sentivo di uscire con nessun altro per l’estrema paura (prendevo anche psicofarmaci per l’ansia …) e perché familiari e “amici” erano solo curiosi, pieni di giudizi o solamente incapaci di trattare le proprie e altrui emozioni. Mi sono allenata ad uscire camminando nei boschi per non incontrare nessuno, facendo piccole commissioni o andando solo a prendere un caffè. Poi scattava come l’allarme dentro di me: la paura, il panico, la disabitudine. Non ero pronta e rientravo. Un giorno si presentò qualcosa di nuovo: avevo capito dopo tanto lavoro che le mie paure erano davvero solo frutto di ricordi ed esperienze passate che rivivevo. Ora c’era altro, altri sogni e soprattutto io ero finalmente Io.

Mi venne una gran voglia di accelerare la mia “guarigione”, sentivo ancora a quel tempo che uscire e fare erano sinonimi di sanità, successo e normalità. Niente di più sbagliato. Allora, anche su consiglio di un’altra dottoressa, presi un cucciolo perché volevo una ragione per uscire occupandomi di qualcuno fuori dai miei pensieri. Questo mi fece muovere nonostante le insicurezze, inoltre da sempre avevo una gran paura dei cani che si rivelò infondata. Conobbi Tobia, un cucciolo di pastore australiano e me ne innamorai all’istante. L’allevatrice mi disse che era fuori standard rispetto al resto della cucciolata per un’imperfezione nel colore del pelo. Per me era perfetto. Tobia entrò nella mia vita buttando scompiglio e portando però tenerezza, calore, guai e tanto divertimento. Eravamo in due a dover imparare: io a stare fuori, di nuovo e meglio di prima, lui ad andare al guinzaglio e relazionarsi con le persone e i suoi simili.

Adesso Tobia ha 2 anni e io ho pubblicato un libro di poesia, ho un lavoro nella scuola come assistente educativa e mi occupo di bambini e ragazzi con disabilità. Con una storia così pazzesca, un passato inquieto e la bellezza che da questi ho tratto, adesso mi sento a casa. Come tutti quelli che imperfetti e con resilienza camminano fedeli a se stessi, diversi perché rari e veri. Non certo migliori. In tutto questo si è soli? Con maggior consapevolezza si fa più fatica? Può essere, ma rifarei ogni singolo passaggio che ho fatto o che per forza ho dovuto affrontare. La sofferenza non è assolutamente un piacere da ricercare, come un certo retaggio cattolico, ingannandosi, sembrava trasmettere. Ignorante di un vero rapporto tra uomo e Dio e Dio e l’Uomo, ma questo è un altro discorso.

Sarò per sempre grata e riconoscente a coloro che mi sono stati accanto, ancora meravigliata di come l’aiuto arriva sempre dai luoghi più inaspettati (persino dall’America) e nelle forme meno prevedibili. Come diceva Majakovskij “si aprirà una breccia nella mole degli anni e apparirà poderoso, rozzo e tangibile il mio verso”. Eccolo.






Ciao, racconto a grandi linee la mia storia. Sono stato autorecluso in casa per oltre 30 anni! Dai 20 ai 51 anni, sarò uscito di casa forse 5 o 6 volte, solo perché costretto e non certo per desiderio. Devo dire che anche prima dei 20 anni c'erano segni premonitori che facevano ipotizzare come sarei finito: squilibrio psichico, timidezza, complessi di ogni tipo, incapacità a socializzare con le persone, paure, fobie, manie, il senso di solitudine provato anche essendo in mezzo a tante persone. L'isolamento che prima dei 20 anni era psicologico si è trasformato ovviamente in isolamento anche fisico.
Chi ha vissuto questa esperienza sa cosa vuol dire stare coricati al buio per ore e ore, stare ore a guardare il mondo da una finestra, vivere in un altra dimensione nel totale rifiuto della realtà. Naturalmente in questi disastrosi trent'anni di oblio non ho combinato nulla, mai lavorato, mai fatto viaggi , mai fatto esperienze di qualsiasi tipo, nessun amore, insomma il vuoto cosmico con annesso fardello di depressione, disperazione, angoscia, terrore, panico, con tentativi continui di autolesionismo. Ricordo tagli alle braccia, alle dita, alle vene, sbattimenti di testa al muro violenti, salassi dalle vene fino allo svenimento e tante altre cose; tutto ciò che creava dolore fisico lo reputavo meglio e più gratificante del dolore dell'anima.

Oggi posso dire di star "meglio" (senza esagerare), ma i miei demoni sono in letargo, non sono morti. Anche se sto "meglio", la mia vita è comunque difficile. La solitudine, la malinconia, la tristezza, la fatica di capire come funziona questo mondo, la frustrazione di non trovare persone che ti aiutino a non farti pesare il sentirti "diverso", " strano", "complicato". Ho in questi ultimi 4 anni frequentato psichiatri e psicologi, ma sono stati una cocente delusione (sono stato sfortunato, son sicuro che ne esistono di bravi e competenti) non hanno capito che erano loro che dovevano scendere nel mio inferno, non io a salire sul loro piedistallo.

Leggendo in questi anni ho capito che le mie difficoltà erano e sono legate alla SINDROME DI ASPERGER, una forma di autismo. Invito chi leggesse queste righe a procurarsi dei libri sull'argomento, troverà molte risposte ai propri perché. Questi trent'anni vissuti nell'inferno hanno inevitabilmente influito sulla vita dei miei genitori, ho procurato loro un dolore che non mi perdonerò mai, finché vivrò peserà su di me la sofferenza fatta patire soprattutto a mia madre, che nonostante tutto mi ha sempre amato. Oggi non ci sono più e i rimorsi e i rimpianti provocano in me un dolore atroce. In questi orribili anni solo la musica ha lenito il mio dolore e continua ancora adesso a darmi sollievo.

Sarebbe bello trovare persone che considerino la "diversità" e la "stranezza" un pregio e non un difetto, ma al momento nella mia realtà queste persone non esistono. Ho vissuto 30 anni da "morto", ora il mio sogno e la mia speranza è morire da "vivo", non so se ci riuscirò.

Queste righe che ho scritto (mi scuso se sono stato lungo) descrivono solo in minima parte il tormento che ho vissuto. Non nascondo che mi piacerebbe incontrare qualcuno e aiutarci reciprocamente, sarebbe già una bella cosa, ma non so da dove cominciare. La paura di deludere è sempre dietro l'angolo, se qualcuno riuscisse a dirmi da dove iniziare ci proverò.
Grazie per avermi dato la possibilità di pubblicare e di avermi letto.







Buonasera, sono un ragazzo di 24 anni vivo in Emilia, ma sono nativo della Puglia ed ho una grande difficoltà nel relazionarmi socialmente con i miei coetanei.

Fin da bambino ho sempre avuto il vizio di parlare molto poco (un vizio che permane ancora oggi), semplicemente non né sento necessità e voglia, quelle poche volte che provavo a prendere l'iniziativa venivo puntualmente ignorato o zittito con battutine sarcastiche cosi mi convinsi che parlare era inutile.
Ho concluso la scuola con l'esame di maturità nel 2015, diciamo che per me la scuola non è mai stata un problema sopratutto arrivato alle superiori... anche se ero sempre quello in disparte. Dopodiché ho preso anche la patente verso i 20 anni, nell'estate del 2017 arriva il mio primo vero impiego lavorativo e da li in poi lavoro un po di qua un po di là tra Bologna e Ferrara.

In famiglia sono sempre stato visto come il bambino "speciale" ad oggi credo di aver dato delle risposte anche dure a chi credeva che non sarei mai stato capace di avere un lavoro, prendere la patente, finire la scuola... ma la mia continua ad essere una NON famiglia e io continuo a rimanere in disparte, nella società. Grazie.






Ciao ragazzi, premesso che non sono bravo a scrivere e che vi saranno sicuramente numerosi errori ortografici, vi volevo raccontare brevemente la mia storia.

Ho letto molte vostre presentazioni prima di iniziare a scrivere questa discussione, più che altro volevo farmi un'idea di quale tipologia di persona voi foste, e fin da subito, leggendo le vostre esperienze, mi sono accorto che avevamo molte cose in comune e in un certo qual modo mi sono sentito più vicino a voi di quanto non lo sia stato con tutte le persone che ho conosciuto di presenza nella mia vita, familiari inclusi.

Al contrario della maggior parte di voi che andate sotto i 25 anni io sono un po' più grande, però ciò non toglie che ho vissuto quale più e quale meno le vostre stesse esperienze. Da piccolissimo soffrivo di asma a causa dell'allergia ed ho cominciato un periodo di cortisone che mi aveva fatto ingrassare, in questo modo ho passato tutta l'età delle elementari fino al 1 anno di medie preso in giro dai compagni. Al secondo anno delle medie invece ho cominciato una dieta abbastanza normale che nell'arco di 1 anno mi ha fatto raggiungere il mio peso forma e che in un certo qual modo mi rendeva molto felice e orgoglioso di me. Il problema stava nel fatto che nonostante fossi dimagrito nono avevo perso il mio carattere timido ed insicuro che mi portavo dietro da quando ero piccolo, questo più il fatto che sono brutto, più che rendermi sicuro e combattivo, mi ha distrutto ulteriormente rendendomi conto che qualunque cosa avessi fatto non sarebbe andata bene per farmi accettare, ho avuto di conseguenza anche dei disturbi alimentari che mi hanno portato all'anoressia(successivamente sono guarito anche se da solo, quindi non so se questo è un bene o meno). In questo periodo inoltre ho troncato molti rapporti con amici, in quanto loro uscivano giustamente per abbordare, io ero solo una spalla, un palo inutile perché le ragazze ovviamente mi evitavano come la peste. Da qui, anzi già dal secondo anno delle medie è cominciato il mio cosiddetto periodo Hikikomori, a quell'età non sapevo neanche a cosa andavo incontro, per me era una cosa normale: non piaci alla gente? Vieni preso in giro, anche dai tuoi stessi amici? Bene, che se ne andassero tutti a quel paese, io me ne sto in casa a fare quello che mi piace e che non mi faccia sentire giudicato, ovviamente le mie passioni erano e restano tuttora quelle legate all'animazione giapponese e videogiochi, nonché serie tv ecc. ovvero tutte quelle attività che avevano una storia, di sicuro molto più intrigante e positiva della mia e nelle quali mi piaceva legarmi e immedesimarmi nei protagonisti che ne facevano parte. Ho mandato avanti così tutta la mia vita, ancora oggi, al contrario però di come possa sembrare me ne stavo tappato in casa solo una volta tornato da scuola e per tutto il giorno, fino al raggiungimento della licenza delle medie prima, e del diploma i 5 anni dopo. Le uniche eccezioni a questa routine erano delle uscite abbastanza rare che facevo durante un fine settimana un mese si e uno no, dove andavo a trovare degli amici che stavano a circa 30 km di distanza e con i quali condividevo la passione per appunto i videogiochi e le serie anime. Fin qui sembra tutto ok, ma in realtà non era così, crescendo infatti l'amicizia più che una vera e propria amicizia era soltanto un modo per giocare tra di noi, per tutto il resto loro uscivano per i fatti loro e avevano una loro vita sociale, io invece sia per il mio aspetto che per il mio carattere insicuro sono rimasto indietro. L'amicizia tra me e questi ragazzi è finita in malo modo, non sto a raccontarvi i dettagli, sono rimasto giusto amico di uno solo di quei ragazzi. Approfittando del fatto che non avevo amicizie o una ragazza nel mio paese che mi coinvolgessero e a cui fossi legato, decisi terminata la scuola di accettare un'offerta di lavoro fuori zona, da li per circa 7 mi sono spostato da regione a regione trasferendomi con la mia famiglia dove il lavoro chiamava. Voi direste, ma se lavori, se hai finito gli studi e se esci allora non sei un hikikomori... beh sbagliato nonostante facessi e continuo tuttora a fare periodicamente un lavoro oppure uscire per qualche commissione, non ho sviluppato nessun rapporto sociale, sono ormai 7 anni che non frequento nessuno, solo un ragazzo con cui mi sento al telefono ed usciamo ogni tanto quando viene a trovarmi o viceversa, per il resto nessun rapporto ne di amicizia ne alcun legame con una ragazza. Al lavoro mi sento come una larva, anzi un involucro vuoto, incapace di instaurare una discussione, incapace di legarsi ad una persona, nella mia miseria sono anche diventato egocentrico, e mi rifaccio ad un post di presentazione di una ragazza prima di me, anche io sono diventato un tipo contraddittorio, praticamente non mi va a genio niente, sono la tipologia di persona che sa essere empatica, ma che al tempo stesso è egoista e pensa solo a se stesso, quel genere di persona che come dice Alice la protagonista del film della disney sa dar ottimi consigli ma poi seguirli mai non so...

Ho capito della mia situazione di hikikomori grazie ad un anime giapponese che credo tutti voi abbiano visto o quanto meno sentito parlare, ovvero Welcome to the NHK. Per me questo anime è fatto divinamente, rispecchia perfettamente lo stato d'animo che ho provato e provo tuttora pure io, quando un problema potrebbe essere anche semplicemente aprire una porta dopo che ti hanno suonato al campanello oppure vedere un parente o addirittura un amico, per paura di non sapere come iniziare e soprattutto come far durare la discussione, perché in profondo al cuore so di essere una persona vuota e noiosa e che non ho niente da offrire la gente che non possano trovare da chiunque altro e di sicuro in maniera migliore di quanto possa fare io.

Normalmente non sono uno che scrive molto, figurarsi parlare, tuttavia ci tenevo a raccontare a voi un piccolo resoconto della mia vita, dopotutto siete come dei fratelli di vita.

Un saluto a tutti, sperando di non avervi annoiati.






Salve a tutti, mi chiamo Nicola, ho 21 anni e per il momento non vorrei specificare dove abito.

Non ho avuto modo di leggere tutte le presentazioni, quindi non saprei nemmeno da dove iniziare.. Ma ho un disperato bisogno di scrivere, di sfogarmi, di non essere giudicato e magari conoscere persone con cui conversare avendo perso quasi ogni contatto con l'esterno.

La mia reclusione credo sia iniziata quando avevo 14 anni, il mio primo e a tutti gli effetti anche ultimo "amore", la mia amica di infanzia e compagna con cui ho trascorso i miei primi 13 anni di vita, si suicidò poco dopo l'inizio delle superiori, senza lasciare traccia.. Non riuscii nemmeno ad essere triste per la sua scomparsa, avevo semplicemente scartato la possibilità che la vita potesse avere un qualche tipo di valore e decisi quindi non frequentare più la scuola e al tempo stesso, come conseguenza, di non avere più alcun tipo di relazione con l'altro, diventando un peso morto, un rifiuto lasciato su un letto notte e giorno, chiuso nella sua stanza, un qualcosa che per i miei genitori non era minimamente concepibile, e che qualche negli anni successivi li ha portati a chiudermi le porte di casa, dopo essersi ricordati dell'esistenza di un loro ipotetico figlio. Lavoravano entrambi fuori Italia, quindi non avevo quasi mai occasione di vederli se non durante le poche festività annuali.
Il mio mondo era limitato a pochi ambienti, non conoscevo altro oltre casa mia e qualche dintorno e non mi sono mai sentito al sicuro oltre il confine del mio mondo recintato, non andai lontano, occupai la mansarda dello stesso palazzo, che i miei vicini possedevano e che hanno deciso di darmi in affitto.
Ho provato per anni a ricostruire una vita che, per quanto breve, avevo fatto a pezzi da solo prendendo decisioni che un quattordicenne non dovrebbe mai da solo, ma purtroppo mi mancava la forza di volontà, il concetto stesso di conoscere altre persone mi spaventava e non frequentando più la scuola, obbligatoriamente mi sono ritrovato in una situazione di isolamento.
Continuai ad uscire, per trovarmi un lavoro, per cercare di restituire il favore che mi era stato concesso, ma il panico ha avuto il sopravvento nel giro di poco tempo, gradualmente si è impadronito del mio corpo, finché non sono giunto al capolinea, dove ogni attacco di panico mi causava allucinazioni, perdevo ogni cognizione del mondo esterno, come se il mio cervello fosse un'entità autonoma e non più il regista del corpo, e non misi più piede fuori dalla porta, odio tutt'ora quello che potrebbe esserci fuori, anche senza conoscerlo realmente.
Non ho vergogna nell'ammettere che ormai da 4 anni ho intrapreso un percorso terapeutico con vari psicologi e psichiatri, le prime esperienze peggiorarono solo la situazione, il primo che conobbi di questi fantomatici psicologi, non vedendo alcun tipo di reazione da parte mia mi disse semplicemente ,prima di interrompere ogni tipo di comunicazione con me, che sarebbe stato meglio se mi fossi ucciso, tanto non sarei mai riuscito a fare un passo verso l'esterno, cosa che ho creduto potesse essere vera, finché poi non ho conosciuto una donna, la mia attuale terapeuta, che è riuscita a farmi fare dei passi in avanti, trattandomi come una persona e con un supporto anche di tipo farmacologico è riuscita a darmi la forza per rialzarmi dalla situazione in cui mi trovavo.
Non posso dire o meno se sia possibile uscire da un tunnel senza spiragli di luce, ma almeno adesso sono in grado di scrivere due righe, di espormi, e di non avere paura nel farlo.

Grazie a tutti quelli che leggeranno, spero di trovarmi bene qui.






Matteo, 23.

Che poi quel leggero sentore di ricerca che mi pervade a tratti, potrei anche lasciarlo scivolare via, e continuare, come faccio sempre, che tanto l’esistenza non mi aggrada nemmeno nella sua massima espressione, figuriamoci così, in una spirale di dubbi esistenziali.

Ciancio alle bande che presentazione sarebbe se non auto-ponendosi la main domanda del tema in questione: sei un Hikikomori? Da quanto? Ebbene, fino un po’ di mesi fa nemmeno sapevo dell’esistenza di questa parola, non sapevo che questo stile di approcciare l’esistenza venisse definito attraverso un termine, quel poco che sapevo a riguardo era che esisteva, nel mondo, un fenomeno di questo tipo - attraverso documentari trash incappatovi a random e che presi con molta poca serietà – ma francamente mi sembrava talmente una cosa normale in una società del genere da non attirare la mia attenzione e di conseguenza non porvi il minimo interesse. Qualche mese fa incappai in un documentario JAP, nemmeno troppo a random: la mia passione verso il Giappone negli ultimi anni è aumentata a dismisura ed evidentemente youtube fremeva dalla voglia di spararmi nei consigliati video relativi al Giappone tanto da consigliarmi addirittura documentari sugli hikikomori, vabbé, non so cosa attira la mia attenzione, watch later, a saper già che quei trenta minuti andavano valorizzati, e come se non guardandosi il video in un momento di tranquillità. Da lì youtube ha palesemente attuato il piano segreto “conosci te stesso” e ha iniziato a mettermi nella home ogni giorno i video di Marco Crepaldi, nel quale, fin da subito, mi ci son rispecchiato fin troppo bene.

Non so come mai ora sì e prima no, non so come mai ora mi viene da realizzare e capire cosa sono da quando ho quindici anni mentre prima era “ok così, la questione nemmeno si pone, che nemmeno serve l’ok così”.. Sono sempre stato una persona analitica, autocritica, e intendo in senso quanto più possibile positivo, una sorta di autocritica costruttiva nei miei riguardi, non penso di essermi mai voluto davvero male, anche se non so bene cosa voglia dire amarsi e volersi male..

Può davvero un documentario di trenta minuti più una serie di video-sensibilizzazione smuovere in me la ricerca del confronto al fine di una comprensione maggiore? Ma che poi aspetta, è davvero quello il fine? Si vede la comprensione dello stato delle cose sempre così, come massima attua al next level del proprio essere.. Eppure ogni volta mi sento come soffocare, chiarisco gli aspetti, comprendo, ne traggo valore come fossero input, ma quella sensazione rimane, mi pervade fino al farmi realizzare quanto la comprensione sia fine a se stessa.

Mi piace essere intimo con gli sconosciuti, non posso farci nulla, ed in parte mi scuso.

Due mesi e mezzo fa circa ero in viaggio, in treno, dalla partenza mi ritrovo seduto affianco ad una ragazza, qualche anno più grande di me.. Arrivato al binario mi era quasi sembrato mi avesse sorriso, tanto da chiedermi inizialmente quanta casualità poteva esserci in quell’assegnazione dei posti, il viaggio per me durava dieci ore, per lei sei/sette credo.. Circa venti minuti prima che lei scendesse abbiamo avuto modo di scambiare parola, dovuto a cose banali del tipo “mi sono addormentata dove siamo esattamente” da lì, non so nemmeno io come, siamo finiti a confrontarci, sullo stato attuale della propria persona, sulle esperienze e su eventuali aspettative, in quegli istanti mi sono aperto più con lei che di quanto non lo abbia mai fatto con la mia famiglia o con persone che ritengo anche amiche e che conosco da anni.. Per quanto la sua persona si palesasse come stabile parte della società percepivo un disagio, una macchia, nella quale mi rispecchiavo, mai avuto problemi a guardare una persona negli occhi, con lei non riuscivo, un istante per comprendere un’esistenza, è così che mi ha fatto sentire. Mi sono sentito più coccolato in quei venti minuti che negli ultimi quattro anni. Poi è scivolata via.

Spesso mi piace lasciare libera interpretazione di ciò che dico/scrivo, mi scuso anche per questo.

Quindici anni, penso sia quella l’età in cui ho abbandonato gli studi, ma appunto penso. Faccio un po’ fatica onestamente a ripercorrere il mio passato, proprio a livello temporale intendo.. Aggiungiamoci il fatto che non sono bravo con le presentazioni, aspettatevi una situa bella sconnessa.

Vissuto il periodo medie in modo abbastanza standard, ovvero bullizzato dalla mattina alla sera, il tutto in maniera un po’ più accentuata dalla situa “paesino di provincia sperduto” e sì boh c’è poco da dire onestamente, non mi soffermerò sul livello perché non ne vedo il bisogno.. Ricordo di aver vissuto quegli anni, soprattutto verso la fine, con una costante voglia di farla finita.. Ammazzarmi, ad un certo punto non facevo che pensare ad altro.. Il bullismo nella mia scuola media era talmente una prassi che da quelli che venivano definiti insegnanti veniva trattata anche con una certa leggerezza e comprendo come potesse essere difficile cogliere che c’erano casi un po’ troppo gravi, non gliene faccio una colpa, mai fatto colpe a nessuno nello specifico, la nostra società ha un problema insito alla base culturale, come può un po’ di buon senso e passione salvare un ragazzino da un mare di lacrime. Affrontai il tutto da solo, a testa bassa. Sempre in quegli anni iniziai ad approcciarmi alla tecnologia con il mio primo computer, penso in seconda media.. Fu’ molto probabilmente la mia salvezza, cristo se lo è stata. Da lì quella che si definisce fase dell’hikikomori iniziale (?), se prima venivo bullizzato dalla mattina alla sera ora era solo al mattino, tornato a casa potevo chiudermi davanti al monitor, chat, i primi videogames marci stile browser games, un’ancora di salvezza.. Inutile dire che le mie giornate passavano così. Finite le medie nell’indifferenza più totale di chiunque, anche i miei se vogliamo, dal momento che anche da piccolo non parlavo con nessuno di certe cose, un po’ anche dall’imbarazzo se vogliamo.. Immaginatevi dover riferire a vostra madre quello che i vostri compagni di classe dicevano a voi su di lei e sul resto della vostra famiglia. Oddio ci fu’ un caso in particolare che ricordo, dove mia madre si allarmò perché un giorno in macchina di ritorno da mia zia le confidai, attaccato allo sportello, quanto avevo voglia di aprirlo, in corsa. Da lì chiacchierata sua con un paio di insegnanti e un altro paio di genitori post mio leggerissimo sfogo al limite del vago, ma inutile dire che questo confronto tra di loro poteva anche non accadere in quanto ininfluente su più fronti.. L’unica cosa che ne uscì su consiglio fu l’andare un paio di volte alla settimana dalla “psicologa” della scuola che era subentrata quell’ultimo anno (forse appunto per i troppi casi di bullismo), cosa che poteva anche essere carina, se non fosse che in sostanza sembrava una che aveva appena iniziato l’università e stava lì a far stage, perché una che come massima ti tira fuori “per farli smettere basta che fai la voce grossa” non mi capacito davvero di boh a ripensarci mi vien da ridere.

Non volevo prolungarmi troppo sul punto medie, però c’erano un paio di cose interessanti sia come background per la presentazione in sè sia per eventuali spunti di discussione.

Scelsi una scuola superiore a random, che manco ci capivo nulla ai tempi sul senso della scelta e su cosa nell’effettivo comportava, frequentai un istituto alberghiero, il primo anno fu’ come una boccata d’aria fresca, un mondo da scoprire, la curiosità che mi pervade. Finalmente non più relegato al paesino ma ora alla città, dinamiche mai assaporate, gente nuova, non più quella gente, ma pur sempre gente.

Post medie non sentii mai di avere problemi nel relazionarmi, anzi, mi sentivo come se da quel periodo ne avessi tratto valore e potessi usarlo a mio favore in qualche modo, dopotutto ne ero uscito da solo, ne ero uscito illeso.

Nonostante la curiosità mi pervadesse ero già in quella che si può definire una spirale, che si accentuava.

Non ero propenso alla scuola, tutt’altro. All’inizio le prime assenze erano dovute per l’appunto a quanto sopra citato, ovvero una sorta di ribellione adolescenziale che come volontà aveva il poter espandere il proprio punto di vista, prendere un treno e visitare posti mi era ora possibile, anche incontrare ragazze che avevo conosciuto online. Inutile dire che durò poco e passai a saltare la scuola del tutto verso gli ultimi mesi, chiudendomi in casa, davanti al computer, passando dalle dodici alle diciotto ore a giocare. Che era un po’ quello che già facevo prima di abbandonare del tutto, solo non al mattino.

L’anno successivo, mi ripresentai sempre a quella scuola, per reiscrivermi, sotto consiglio/volontà dei miei, ricordo ancora quando entrai in aula per fare richiesta di iscrizione, con mia madre, la professoressa mi chiese per ben due volte “sei sicuro?” come a voler quasi mostrare un reale interesse sul mio pensiero, come a volersi quasi accertare che io davvero stessi capendo cosa succedesse attorno a me, come se avessi chiaro che dovevo farmi un’idea sul mio futuro e che quel mio sì doveva essere una decisione da me presa in maniera conscia dell’impegno che avrei dovuto mettere nel conformarmi alla società, nell’ambire a diventare quello che definiscono qualcuno. Il mio fu un sì, il sì più insicuro di sto’ mondo, talmente insicuro da non far nemmeno trapelare la minima insicurezza in quanto anch’esso privo di consapevolezza dell’essere insicuro. Tempo un paio di mesi e abbandonai del tutto gli studi.

Da lì passai dalla semi-reclusione alla reclusione totale, seppur mantenendo i contatti online, e anzi, creandone di nuovi.

Dai quindici anni in su, se mai una persona dovesse chiedermi di specificargli con esattezza per quanto tempo sono stato in questa condizione non saprei quantificarglielo.. Probabilmente mi verrebbe da dire che più che avere periodi di reclusione, ho periodi di non reclusione. Nel tempo ho imparato come conviverci, per questo che all’inizio l’ho definito come uno “stile di approcciare l’esistenza”, perché ormai è quello che faccio, approccio l’esistenza, lasciando che qualsiasi input esterno, che qualsiasi scintilla, mi scivoli addosso, seduto sulla mia sedia.

Negli ultimi 3 anni sono peggiorato abbastanza, uscire tre volte al mese è già tanto.. Non che abbia problemi a stare fuori o nel relazionarmi, come coesisto con la solitudine e queste quattro mura so coesistere anche con il mondo esterno, mi adatto fin troppo bene alle volte. Semplicemente non ne vedo il fine. Quella curiosità per la vita, non la sento più mia e probabilmente mai l’ho sentita.

Più di quindici giorni, da quando, ad oggi, avevo smesso di scrivere questa presentazione. Probabilmente nauseato dal mio stesso pensare ed annoiato dal ripercorrere frammenti di passato che, non potremmo decisamente farci mancare in quanto presentazione Hikikomori, ne consegue una necessità analitica non solo dell’attuale stato ma soprattutto del background. Una continua analisi di ciò che ci circonda, di ciò con cui entriamo in contatto, ciò che ne è rimasto di una cultura basata sul giudizio, o almeno, per me.

Non ho nemmeno voglia di rileggere, di cercar di mantenere un filo logico, una linea temporale, un nesso tra i paragrafi. Scrivo in nottate malinconiche, tè alla mano e lofi nelle cuffie, manco fosse la mia nuova personal terapia rofl.

Ho un ripudio per la società nel complesso che più volte mi è sfuggito di mano da quanto enorme. Più nello specifico schifo quelle forme di pensiero ostili e con secondi fini, che nascono ormai spontanee in quest’ultima, per come strutturata. Ritengo ci sia un profondo problema culturale alla base, nel modo in cui l’essere umano non espande la propria linea di pensiero, e fa ricadere quest’ultima sua scelta involontaria sulla generazione che andrà poi a crescere, creando dei gap e delle spaccature che possono essere colmate solo mediante il buon senso e la voglia di pensare di chi, di quella futura generazione ne fa parte. Come se fossimo costretti ad un eterno zoppicare, perché perdersi è così facile, basta un momento, un input negativo, e sbam, un’intera volontà di fare del bene, che si perde in un mare d’odio. Non mi dilungherò su questo punto, risulterei solo confuso, non sono mai stato bravo a parlare, mi accontento della passione che a riguardo ancora mi rimane.

Difficile riassumere in una presentazione così tanto tempo.. Così facile invece lasciar scivolare via quest’ultimo. Come è anche facile concludermi qui, nonostante possa raccontarmi ancora.. Raccontare ad esempio di quelle volte che sono riuscito ad aggrapparmi a forza di curiosità al mondo esterno e di conseguenza riuscire ad evadere, anche solo per poco, dalla situazione che ci accumuna. Allo stesso tempo raccontare di tutte le volte che quella spirale si è ripresentata, a volte il giorno dopo, spesso nell’immediato. Per non parlare di come potrei annoiarvi con i miei complessi esistenziali.

Ma appunto, come detto in partenza, penso lascerò scivolare via queste quattro righe di presentazione. Non sono nemmeno sicuro di volerla davvero pubblicare, nel caso stiate leggendo questa mia insicurezza attuale vorrà dire che nonostante l’insicurezza intrinseca avrò quantomeno preso una scelta.






Non so come cominciare, sinceramente. Non ho voglia di raccontare tutta la mia vita perché non ha niente di speciale rispetto alle altre. So solo che, in tutti questi anni, non ho mai toccato il fondo come in questo momento.

Soffro di un disturbo alimentare terribile chiamato Binge Eating Disorder. C'è chi è dipendente dalla droga, e non riesce ad uscirne; io sono dipendente dal cibo. Abbuffate compulsive - ogni traccia di umanità svanisce per lasciare spazio a una bestia famelica e priva di ragione, incontrollata e incontrollabile. Solo che chi è dipendente dalla droga può scegliere di dire basta; io non posso, perché di cibo devo continuare a nutrirmi per vivere. Assumo quindi un decimo della parte che veramente vorrei; e rimane il desiderio, che non riesco quasi mai a dominare.

Il cibo anestetizza tutto quanto - mi fa sentire bene. La stessa sensazione che mi suscitano i libri, i film, la musica, gli hobby più disparati; solo che il cibo riempie concretamente, appaga i miei sensi. E io, sì, ho barattato una vita normale per questo breve attimo di piacere.

Sono una hikikomori perché ho un disturbo alimentare oppure ho un disturbo alimentare perché sono una hikikomori? Temo che non lo saprò mai.
Ho sempre alternato momenti in cui pensavo di avere sconfitto la bestia ad altri in cui mi abbandonavo a lei completamente; ma poi la società e il mondo del lavoro hanno fatto il resto, sconfiggendomi, riuscendo una volta per tutte a confinarmi entro le mura di casa mia.

L'ultima esperienza lavorativa mi ha dato il colpo di grazia. Odiavo quel lavoro, ma dovevo pur fare qualcosa. Il venerdì sera uscivo da lì piangendo al pensiero di doverci ritornare il lunedì. Dopo quasi due anni sono scappata da quel posto e sono rimasta a casa, pensando che presto avrei trovato qualcos'altro.
Ma qualcos'altro non è mai arrivato. In realtà non l'ho mai nemmeno cercato. Piena di amarezza, e di disgusto per il mondo, mi sono data del tempo per riprendermi e per recuperare le energie; e l'assenza di un'attività lavorativa ha scatenato il disturbo alimentare ancora più vivacemente, nutrito fondamentalmente dalla noia.

Da allora non ne sono più uscita. Mi ripeto questo continuamente: "Sconfiggerò il disturbo alimentare, e solo allora potrò farmi forza, uscire e tentare di avere una vita normale." Ma visto che non riesco a raggiungere il primo obiettivo, non posso certo aspirare agli altri.

Mi va di descrivermi un po' a piccoli spezzoni, affinché il tutto non risulti troppo pesante. Probabilmente così saranno anche più chiari i miei legami con il mondo degli hikikomori.

- Non ho amici. Nemmeno virtuali. Non ho mai trovato alcuna soddisfazione nell'amicizia; i rapporti sociali mi risucchiano ogni energia e mi lasciano stremata.

- Non riesco a provare affetto. I miei sentimenti sono sempre estremi: o amo intensamente, o odio altrettanto intensamente, o provo una forte indifferenza. Ragion per cui non ho mai provato affetto per le mie amiche o per i miei familiari - ma nemmeno odio se è per questo. Solo indifferenza.

- Non sopporto di essere guardata, o fissata per strada; mi preoccupo eccessivamente dei vicini che mi vedono quando esco o quando rientro, che conoscono i miei orari. Attraversare la strada e stare ferma di fronte a file di macchine mi provoca quasi un attacco di panico.

- Non mangio mai in compagnia, ma sempre da sola, in camera mia.

- Detesto attirare l'attenzione su di me in qualsiasi modo.

- Sono priva di pazienza e di sopportazione. Basta pochissimo per provocare una mia reazione stizzita e acida, anche se mai violenta. Ragion per cui mi trovo male anche con i bambini.

- In tutta la mia vita non sono mai venuta a contatto con una persona di cui veramente stimassi l'intelligenza; se accadesse, forse mi riscoprirei un po' più socievole.

- Sono contraddittoria, perché sono insicura del mio aspetto fisico, eppure sicura di piacere agli altri. E poi perché pur considerandomi "meno" degli altri, mi sento anche superiore a loro.

- Ho una grande stima della mia mente; mi sento saggia e dispensatrice di ottimi consigli. Credo di essere una delle persone più sensibili che esistano. Per questo mi sono elevata al di sopra di tutto il resto, considerandolo privo di importanza.

- Mi innamoro velocemente, e altrettanto velocemente mi disinnamoro. L'amore ha una grande attrattiva su di me; sono capace di amare solo in modo totalizzante, simbiotico, possessivo. Tendo a dipendere affettivamente, e a provare un grande vuoto interiore alla fine di una storia.

- Detesto la società e il modo in cui essa ha pianificato le nostre vite. Non riesco a sopportare l'idea di dover lavorare per l'intera giornata per tutto il resto della mia vita, finché non sarò vecchia. Lo spreco del mio tempo dietro ad attività che mi sono imposte forzatamente mi è intollerabile. Rifiuto questo sistema, rifiuto il mondo del lavoro.

- Non mi va di essere l'ennesimo soldatino nella grande catena di montaggio. Non mi va di essere all'altezza di queste aspettative insane e malate. Sono stufa di persone che cercano di identificarti con il lavoro che fai, come se tu fossi il tuo lavoro; che ti incontrano per strada informandosi sui tuoi "obiettivi sociali raggiunti" (lavoro-casa-macchina-stipendio) trascurando di chiederti perfino come stai.

- Non ho mai avuto idea di cosa fare nella vita, e quale lavoro svolgere. Non ho mai avuto le idee chiare; sono del tutto priva di ambizione, perché convinta che il lavoro non c'entri niente con il senso della nostra vita.

- Vivo le giornate immersa in mondi fittizi, lontani da questa realtà. Libri, film, musica, videogiochi sono tutto ciò in cui mi immergo per sfuggire al dolore di questo presente deludente.

- Odio il mondo moderno. Questa società, il modo in cui vive, in cui si veste, in cui pensa, in cui parla. Rimpiango continuamente il fatto di non essere nata in qualche epoca passata. Vivo nel passato.

- Amo la natura e ho un rapporto con gli animali che con le persone non avrò mai.

- Dalle persone non mi sono mai sentita né capita né ascoltata. Al contrario, io sono molto empatica e capace di immedesimarmi negli altri.

- L'idea di affacciarmi di nuovo alla vita reale mi terrorizza, come quella di sostenere un colloquio di lavoro. Mi sento ormai incapace di essere all'altezza di qualsiasi aspettativa, anche la più modesta. Non c'è niente in cui io sia brava davvero; nessun talento che possa portarmi più in là di qualcun altro. Non credo che esista un lavoro che non finirei col detestare.

- Oltre ad essere impaziente, sono diretta e franca fino all'inverosimile; parlare del più e del meno mi è insopportabile. Non riesco ad avere niente a che fare con ciò che è vago o indefinito, o superficiale o noioso o monotono. Per questo motivo nessuna persona mi stimola mai curiosità.

- Sono terribilmente emotiva e irrazionale. Cedo all'istinto in ogni cosa, incapace di pensare e di ragionare. Non riesco a fare niente che non mi piaccia, che non mi appaghi - ragion per cui è al di là della mia comprensione la vita che svolge ogni persona "normale". Ed è anche il motivo per cui non riesco ad uscire dal disturbo alimentare, che si nutre appunto delle mie emozioni.

- Sono sempre uscita distrutta dalle aspettative della società, perché io non riuscivo a superarle mai. Ero sempre quella diversa da tutti. Ho trascorso fasi della mia vita a fingere di essere quella che non ero.

- Avrei preferito non essere mai nata, ma l'idea del suicidio è lontanissima da me. Questo non vuol dire che amo la vita, ma che la sopporto in attesa che finisca naturalmente.

Non ho avuto peli sulla lingua, come vedete; sono consapevole di essere una persona difficile. Il problema più grande è che se anche per miracolo uscissi da questo disturbo alimentare, e ancora per miracolo riuscissi ad affacciarmi alla "vita reale", la mia testa rimarrebbe questa. E che quindi troverei comunque insopportabile tutto quanto, e non riuscirei ad affrontarlo.

Non so proprio come farò. Qui, dentro me stessa, tutto è sicuro e confortevole, ma là fuori è diverso. Non è paura delle delusioni, o della sofferenza... so perfettamente che nulla di ciò per cui l'uomo si affanna ha il minimo senso. Forse è questo il problema, il sentirmi costretta a dare importanza a cose che in realtà non ne hanno. Fingere che mi importi davvero di essere come gli altri... di volere questa vita.

Scusatemi per il papiro, ma forse qualcuno si sarà ritrovato in me - e almeno io mi sono un po' sfogata.






Ho pensato fosse inutile continuare a pensarci e fosse meglio semplicemente cominciare a scrivere quindi ecco qui la mia presentazione.

Da piccola in famiglia capitava mi chiamassero “terremoto”. E ci ho creduto per tanti anni. Poi ho iniziato a chiedermi se non fossi stata semplicemente una bambina, con l’energia di una bambina. Ero la più piccola in una famiglia in cui tutti tranne me avevano superato gli “anta”.

Quando ho iniziato a scrivere i titoli dei film sulle videocassette in un linguaggio tutto mio, mia madre pensò che fosse un ottimo motivo per mandarmi a scuola un anno prima. Così non bastava l’ignoranza dell’infanzia a farmi sentire in un’eterna corsa per essere alla pari, ci si è messa anche la scuola.

Mia madre ha lavorato come maestra fino ai miei 3 anni circa, e questa lontananza credo di non averla vissuta per niente bene anche se non ho ricordi in proposito. Nel momento in cui avevo bisogno di iniziare a staccarmi da lei, ha deciso di andare in pensione. Sono figlia unica, mia madre ha avuto problemi nelle gravidanze successive, quindi tutto… il suo desiderio di maternità si è sfogato con un’iperprotezione.

Ero una bambina curiosa, che sognava l’indipendenza. Questo probabilmente perché memore delle assenze di mia madre da piccola pensavo di non poter davvero contare totalmente su nessuno.
“Quando sarai grande capirai”. Gli sguardi di compassionevole tenerezza verso l’innocenza dell’infanzia. La rabbia certamente non si addiceva a quest’immagine, così ce le prendevo ogni volta che provavo ad esprimerla (niente a livello del telefono azzurro eh) ma negli anni ha vinto la paralisi. Sia per la paura che come un ancoraggio mi riportava alla rabbia di mio padre, sia perché ogni reazione non avrebbe portato a nessuna conclusione utile. L’unica via d’uscita era il silenzio. La rabbia era inammissibile, soprattutto per una bambina verso i genitori. La sensibilità invece era esattamente da bambina. Suscitava tenerezza, a volte sensazione di impotenza perché nessuno poteva proteggermi da ogni male. Non suscitava mai semplice comprensione, o anche solo accettazione. Un abbraccio che dicesse ‘sono qui’.

A casa ero speciale, a scuola ho iniziato a sentirmi presto diversa. Ho fatto la prima elementare in una scuola cattolica (privata), la seconda in una con metodo Montessori per approdare infine ad una scuola pubblica per i successivi 3 anni. Ho sempre cercato di integrarmi nelle classi nuove, ma già nell’ultima scuola elementare si sono manifestati i problemi. Stavo sempre e solo con una mia compagna di classe, che per altro è l’unica amica che ogni tanto frequento ancora.

Le medie sono state infernali. Non sapevo vestirmi, avevo le braccia e le gambe sottili come stuzzicadenti e la pancetta, capelli disastrosi. Prima di quegli anni ciò che mi rimandava l’esterno era che ero bella, bei lineamenti, bellissimi occhi. Alle medie sono iniziate le prese in giro, a cui per altro non riuscivo a reagire perché appunto la rabbia era stata bandita, non ho mai imparato un modo costruttivo per esprimerla e farmi rispettare, solo a soffocarla. Ho iniziato a sentirmi brutta e ad arrancare sempre di più per stare al passo con le materie. Mi sembrava di non farcela fisicamente, che il tempo per studiare non bastasse mai. Ho iniziato a sacrificare qualsiasi attività che non fosse la scuola e studiare, cosa che è peggiorata alle superiori. Avrei voluto fare grafica pubblicitaria (in terza media ho ricevuto il mio primo computer), ma per una serie di eventi mi sono trovata a frequentare il Tecnico per il turismo. Mi svegliavo alle 6.30 del mattino e questo non fece che peggiorare la mia sensazione di non reggere fisicamente. Sono iniziate le assenze a scuola. Con mio padre avevo sviluppato dei problemi, non parlavamo più se non per le cose indispensabili, mi dava proprio fastidio averlo vicino. Così mia zia mi propose di andare a stare da lei e frequentare una scuola nella sua zona. Ho quindi fatto gli ultimi tre anni di superiori in questa nuova scuola, stando durante la settimana da mia zia e il fine settimana a casa mia a fare templates per splinder. Le volte che ho frequentato le mie compagne fuori dalla classe credo si possa contare sulla punta delle dita, ma con una dopo il diploma ci siamo riviste spesso, fino a che non è andata in sud America. Avevo pensato spesso di abbandonare, ho detto a casa che sarei andata a fare gli esami come privatista. Sapevo però che sarebbe stato solo peggio, quindi nonostante piangessi una mattina si e una no, mi sono fatta forza e mi sono diplomata.

A quel punto era la mia occasione per scegliere qualcosa che potessi sentire più “mio”, il turismo per quanto interessante non mi dava assolutamente questa gioia, ma questo pensiero non fece che caricarmi di aspettative fino a paralizzarmi nella scelta (per altro per niente ampia). Dopo un anno di pausa però finalmente mi decisi e mi iscrissi all’Istituto Europeo di Design. Qui ho vissuto mesi che mi sembrarono una rinascita. Mi sentivo un’altra persona. Si era formato un bel gruppo, ero piuttosto silenziosa ma avevo un po’ di persone con cui nei momenti più tranquilli riuscivo a parlare. Adoravo le materie. Mi sentivo finalmente nel posto giusto al momento giusto. Purtroppo però pure questo non è durato molto. Il gruppo si è andato piano piano sgretolando, in quegli anni avevo avuto un paio di relazioni e una mi ha lasciato particolarmente distrutta emotivamente. Amavo però quella scuola, quindi ho continuato a studiare con determinazione. Quando è terminata non è stato per niente facile. Mi sembrava di non poter affrontare nessun lavoro per le mie difficoltà sociali e di salute. Ad un certo punto mi è stato consigliato di fare degli esami del sonno da cui è effettivamente risultato che dormo malissimo. Ho iniziato da quel momento un percorso con una psicologa cognitivo-comportamentale. Ho avuto modo di rivedere tutta la mia vita sotto una luce diversa, ma purtroppo l’unico problema concreto che mi ha risolto è stato che un tempo non riuscivo a mangiare da sola in pubblico, mi sentivo cretina. Nel momento in cui sono stata messa davanti al narcisismo di una cosa del genere, la cosa mi è diventata molto più semplice. In quel periodo ho anche deciso di organizzarmi un viaggio. Un mese a Londra, tre settimane di ostello (con bagno condiviso uomini e donne, ancora mi viene da ridere) e una settimana di albergo + 2 ore al giorno di corso di inglese. Mi dicevano che avrei trovato tutti i italiani, invece ho trovato tutti stranieri, ma a parte questo credo abbiano sottovalutato la mia inquantificabile capacità di farmi i fatti miei e non parlare praticamente con nessuno. Infatti in ostello non ho fatto amicizia con nessuno. Avrei voluto restare lì, ma le solite paure sul fattore fisico e relazionale mi hanno bloccata. Così sono rientrata in Italia. Mi sentivo però più forte emotivamente, avevo respirato un po’ di libertà dai miei, forse anche questo divenne motivo per cui la mia situazione di salute divenne piuttosto problematica. Avevo iniziato ad avere degli attacchi d’asma legati all’apparato digerente. Ci vollero mesi per una diagnosi. Un paio d’anni per rendermi conto che i medici non avevano soluzioni che ho trovato poi in una fisioterapista. Rientrata da Londra avevo stabilito che avrei aperto la partita IVA, e così ho fatto. A quel punto nonostante la salute potevo lavorare da casa. Rispondendo a qualche annuncio avevo iniziato la collaborazione con un paio di agenzie. Poi ho iniziato a lavorare per la fisioterapista che mi aveva seguito.

Non ho mai avuto la passione per le uscite di gruppo, le serate a chiacchierare in piedi al freddo a parlare del niente, ma mi è sempre mancata la presenza di un compagno e qualche amica che mi capisse. O meglio, un compagno che mi capisse durante lo IED l’avevo trovato, ma… a quanto pare non ero abbastanza panterona e soprattutto troppo somigliante a lui per potergli andar bene come compagna. Questa comprensione però in qualche modo è rimasta, ci sentiamo ancora su whatsapp.
L’ultima relazione è stata lunga, difficile, con una situazione sua (del mio ex) a tratti decisamente tragica. A voler rappresentare il tutto direi come guardare una bellissima luna in un cielo da favola mentre si è immersi in un lago di petrolio. Non mi sento di dire altro, è ancora troppo presto per poterne avere una visione completamente limpida e distaccata.

Come ho accennato in qualche post da un paio d’anni ho iniziato un percorso con una psicoterapeuta che utilizza la bioenergetica. Vorrei.. smettere di sentirmi trasparente, vorrei riuscire a costruire qualcosa di mio. Un rapporto sano e soprattutto un’indipendenza economica. Sono stufa di dover sempre dire grazie ai miei sia per l’affetto che per i soldi quando li ritengo in parte responsabili per tutto questo. Come se non meritassi niente al di fuori di ciò che una famiglia con istinto materno e paterno può dare. Perché poi non sono affatto accettata per come sono. Non sarebbero in grado di reggere una virgola del dolore che ho provato. Non perché loro non abbiano avuto la loro dose, ne hanno avuta eccome, ma perché proprio non reggono il mio. Per i sensi di colpa, per il senso di impotenza, per l’incapacità di accettarmi come sono.
..vorrei uscire da quel lago di petrolio e godermi la primavera.






Salve, ho 20 anni e sono stato un "Hikikomori alla Giapponese" dai 13 ai 17 anni.
Non mi dilungherò nella mia storia, soliti problemi di bullismo, intercorsi da una situazione familiare instabile e una mia ipersensibilità al mondo esterno. Sono uscito da quello stato a causa di un'insonnia cronica, che mi ha spinto da uno psichiatra, così dai 18 anni ho iniziato ad assumere psicofarmaci.

Sono di natura principalmente evitante, con le persone non ci so fare, ciò mi ha sempre portato ad non usufruire tanto dell'interattività online e quindi essere un fantasma anche nel mondo virtuale. Conosco il fenomeno "Hikikomori" credo dai miei 14 anni, quando mi ritrovai a guardare Welcome to the NHK. Ho seguito quindi dagli inizi un po' tutto l'interesse italiano negli ultimi anni.

I farmaci mi hanno aiutato ad uscire di casa, ma l'assenza completa di un supporto emotivo familiare, amicale, o quel che sia mi ha portato in un forte stato di contraddizione. La maggior parte della mia vita, ed ancora gli ultimi stadi della mia situazione, sono stati un continuo plasmarsi in modo da dare feedback positivi alle persone che cercavano un minimo di interazione con me. Se c'è da uscire quella volta al mese, lo faccio, non sono completamente interessato ma i farmaci mi danno volontà di agire. Se c'è da dire allo psichiatra che sto migliorando, beh so cosa vuole sentire, dopotutto non posso permettermi una psicoterapia e non voglio assolutamente altre prescrizioni.

La realtà delle cose è che io da qualche anno a questa parte, ho smesso di provare interesse per qualsiasi cosa. Sono sorti problemi di salute derivanti dallo stress, problemi all'intestino e di tensione muscolare, insonnia e effetti collaterali dei farmaci che mi hanno azzerato completamente anche quel poco di libidine che era rimasta. Sono capace di fingere occasionalmente, ma non di introdurmi nella società. Vivo in un paesino sperduto, abbandonato a poche possibilità di scelta (un serale sgangherato deprimente a cui dovrei iscrivermi da anni) e principalmente, questo il "problema" più evidente, disinteressato nei confronti della vita.

Quelle poche persone che conosco si fanno trascinare avanti dal sogno di avere una ragazza, dalle piccole cose come mangiare la sera in pizzeria, un po' come io andavo/vado avanti distraendomi con gli anime. Io non ho sogni, obbiettivi, speranze verso questo futuro. Non sono nemmeno una persona capace di lamentarsi se non anonimamente, con mia madre i rapporti sono rasenti l'osso, e sinceramente non trovo nessuna utilità nell'alzarmi un giorno e dirgli, senti, io non provo alcuna gioia di vivere. A che pro? Ha già i suoi problemi, ho sempre "non fatto" quello che volevo, dietro la mia situazione non c'è mai stato nessun appoggio. È dai 13 anni che sono problematicamente in una solitudine di problemi, diventati ora un cronico mal di vivere. Non c'è la voglia nemmeno di interagire con la chat Telegram, fortunatamente ci sono ancora persone che credono nel futuro e in uno sbocco in questa società, non è mia intenzione anzi non fa parte di me andarmi a lamentare in questo modo, quindi non mi rimane altro che osservare in silenzio.

La maggior parte del mio tempo online la passo dietro imageboard anonime, dove non bisogna costruirsi un'immagine del sé ed è possibile interagire per poco tempo in forma anonima e limitandosi a quello scambio di risposte.

Ultimamente mi sono annoiato di fingere di essere un'altra persona, di mostrare ancora un finto interesse per il mio futuro, quindi è automaticamente ricominciato un periodo di "ricaduta", tra virgolette perché fino ad ora ho semplicemente trovato la forza di fregarmene e dare un minimo di apparenza, perché dopotutto il periodo di riabilitazione lo avevo scelto io. Ma ora mi manca la forza anche di far ciò, quindi sono tornato a invertire il mio orologio biologico e distaccarmi da quei pochi "contatti" che mi ero creato. Dopotutto, per me stare in contatto con gli altri è come lavorare, indossare una maschera e mostrarsi positivi. "Veri" amici non ce ne sono, tranne qualche persona online, e nemmeno per loro voglio essere un problema esistenziale. Purtroppo non in tutti i casi è vero che basta sfogarsi, al massimo lo puoi fare ma con una positività di fondo, così che poi ti possano rispondere in modo adeguato e tu possa annuire ai loro consigli. Altrimenti sei solo una disagiante zavorra.

Ho letto molte delle storie postate sul forum, mi avrebbe fatto piacere commentarle ma non avevo ancora un account.
Sono molto instabile nelle mie interazioni online, ma questo forum non ne richiede tanta quindi potrei apparire a sprazzi.






Ciao a tutti, sono un ragazzo di 24 anni. Nonostante conoscessi già da parecchio tempo il termine "hikikomori" (come per molti di voi, scoperto grazie a "Welcome to the NHK"), solo di recente sono venuto a conoscenza di Hikikomori Italia e sono rimasto piacevolmente sorpreso dal vedere come il fenomeno venga trattato, lontano dai soliti luoghi comuni e stereotipi diffusi.
Ho deciso di provare a raccontare la mia storia e i miei pensieri, cosciente del fatto che poche righe di testo non saranno mai in grado di esprimere tutto (e sicuramente salterò qualche passaggio, purtroppo). Non scrivo con la pretesa o l'illusione possa interessare o aiutare qualcuno, ma spero possa essere "utile" quanto meno a me stesso. Principalmente mi piacerebbe raccontare il mio stato attuale, ma per farlo credo sia necessario conoscere alcuni degli eventi "chiave" passati, sperando di non dilungarmi troppo.

Ho dei ricordi di me come di un bambino allegro, vivace e spensierato, probabilmente è stato il contesto scolastico a "iniziarmi" all'insicurezza. Alle elementari, nonostante non si possa parlare di bullismo o di effettive cattiverie nei miei confronti, ero spesso preso in giro (anche se "amichevolmente") per via della mia bassa statura (sono tuttora abbastanza basso e molto magro) e questo mi ha, per l'appunto, portato ad avere una visione molto insicura circa il mio aspetto fisico e, sebbene io mi piaccia e mi accetti per come sono (o mi forse mi autosuggestiono di piacermi e accettarmi, non saprei dire), provo molto imbarazzo nel mostrarmi agli altri.
In concomitanza con la fine delle elementari, i miei si separano. Mio padre viene cacciato di casa e io resto a vivere da solo con mia madre (che a oggi risulta essere l'unica persona a cui riesco a esprimere affetto senza vergognarmene). Inizio lentamente ad allontanarmi dagli altri e a uscire sempre meno, preferendo passare il tempo sui videogiochi e sentendo di essere percepito dagli altri come il classico "sfigato" senza vita.
Durante le medie c'è l'unico atto di bullismo che io abbia mai subito: era il mio compleanno e per "festeggiare", mentre non c'era l'insegnante in aula, qualcuno decise di sollevarmi, sfottendo il mio "peso piuma", e di gettarmi dentro il cestino della classe dicendo: "Oggi sei più grande, ma sei così piccolo che stai bene pure qua dentro". La cosa che mi fa incazzare, oggi, non è la stupidità di quel ragazzo, che "giustifico" (molto virgolettato) con l'età, ma sapere che, quando raccontai la cosa alla professoressa, in lacrime, lei cercò di sdrammatizzare la cosa accettando la versione dello "scherzo" che le era stata fornita (probabilmente le serviva contenere l'accaduto per evitare ripercussioni anche su di lei, che non si trovava in aula).
Durante le superiori inizio a maturare i primi abbozzi della mia visione dei rapporti e della società, tutto in chiave molto cinica e nichilista. In principio questi pensieri servivano a proteggermi, come una sorta di scudo che alzavo per nascondere la mia insicurezza (questo mio modo di fare mi ha anche donato un certo carisma, tanto che è proprio durante i miei 16/17 anni che mi metto per la prima volta con una ragazza, ovviamente conosciuta online).
In ogni caso, più andavo avanti con i miei pensieri e con la mia "maturità mentale", più mi accorgevo di non riuscire più a dare un senso alle mie azioni (emblematica la mia maturità, dove notavo i miei compagni e le loro ansie e timori, mentre a me non riusciva a importamene nulla del fatto mi stessi per diplomare).
Ben presto lo "scudo" che mi ero creato finì per trasformarsi in una spada, che adesso delle volte tengo dalla parte del manico (quando il disgusto per ciò che osservo è così grande da imprimerti dei fortissimi valori morali per prenderne le distanze), e altre volte impugno dal lato sbagliato (quando l'insofferenza è così opprimente da non riuscire nemmeno ad alzarti dal letto).

Oggi, l'apatia è ciò che governa le mie giornate. Non c'è nulla che mi appassioni, nulla che mi spinga a far qualcosa, spesso arrivo a stare sul letto e ad alzarmi solo per mangiare o ad andare in bagno. I miei ritmi di vita sono invertiti e sto sveglio la notte e dormo di giorno. Anche se razionalmente io so di star sbagliando, non riesco a fare altro, né riesco a volerlo. Qualche volta ho delle crisi, pensando ai sacrifici di mia madre, costretta ad assistere alla mia incapacità di fare qualcosa per il mio futuro, ma sono crisi che nascono dalla consapevolezza di "stare bene" così, nonostante tutto. Sono sensi di colpa che provo ma che non riescono a mettere in moto nessun ingranaggio per "cambiare", che a loro volta generano altri sensi di colpa, e così via.
Un po' come uno a cui è stata amputata una gamba, io penso di essere stato amputato della "volontà": non riesco a volere nulla, non so nemmeno come si faccia. Quando mi viene richiesta con frasi come "Devi solo volerlo", provo lo stesso fastidio che proverebbe uno su una sedia a rotelle a cui si chiede di alzarsi.
Non credo di essere un hikikomori nel senso puro del termine (più appropriato dire NEET, probabilmente), non ho problemi a uscire di casa, né ho grosse difficoltà nelle relazioni sociali (relazioni sentimentali escluse), anche se comunque evito di crearmene. Ho una filosofia di vita che mi induce a non cercare nessuno (nemmeno i miei amici) per evitare io possa diventarne dipendente. I pochi amici che ho sono tali non perché io abbia bisogno di loro, ma perché mi trovo bene con loro. Se ne avessi bisogno, mi sentirei di sfruttarli al solo scopo di star meglio, non mi sentirei a mio agio, mi sentirei egoista. Non sempre questo mio modo di fare viene recepito nel senso giusto, però.

Non so più che altro dire, non so nemmeno se ho scritto troppo o troppo poco, posso solo ringraziare chiunque abbia letto fin qui.






Salve a tutti, ho 23 anni e sono in questa condizione da tanti anni ormai. Ho iniziato ritirandomi da scuola, ed ho interrotto l'isolamento ritornando a scuola anni dopo, riuscendo infine a finirla dopo tanti sforzi. Ma dopo la situazione è tornata esattamente la stessa, e non ho idea di come risolvere. Il mondo fuori mi spaventa, uscire per me è difficile ed ormai sempre più raro, le persone mi fanno stare male e mi causano ansia e depressione, così come il lavoro. Ormai si può dire che non ho più amici irl, online ne ho qualcuno ma neanche tanti, due o tre circa.
Ogni minimo impegno che si presenta fuori mi pesa come un macigno e non ho il coraggio né la voglia di cercare lavoro, essendo ben conscio di cosa mi causa provarci (ho provato a lavorare un po' anni fa, ma sono stato così male da preferire la situazione precedente, ovvero quella attuale, inoltre soffro di vari disturbi psicologici che ormai mi impediscono di sottopormi a troppo stress ed in casa trovo un po' di pace). Non ho idea di cosa ne sarà di me in futuro, ogni anno che passa tutto diventa più complicato e la società mi sembra sempre più invivibile, troppo frenetica e folle per me. Inoltre richiede troppa competizione e troppo impegno costante, ed io ormai non ne ho le forze, anzi non le ho mai avute. Ormai esco giusto una volta a settimana se va bene, per una qualche commissione personale che a volte mi tocca fare, e poi basta. Per fortuna ho molti interessi che svolgo in casa e questo mi migliora le giornate.
Non so bene perché mi sono iscritto qui, forse perché volevo vedere com'era rispetto alla chat telegram in cui già sono, ed ovviamente il desiderio di compagnia e di condivisione. Sono aperto a parlare e confrontarmi anche in privato con chiunque ne abbia voglia, mi farebbe piacere. Ultimamente sento spesso un po' di solitudine, le chiacchiere su internet sono la mia unica forma di compagnia (insieme all'interazione con la mia famiglia, non vivendo da solo). Concludo dicendo che ormai non so nemmeno io se voglio uscire da questa condizione, poiché ho smesso di contemplare modi di vivere diversi da quello attuale, dato che ogni volta che ho provato a vivere diversamente ne sono uscito distrutto. Però allo stesso tempo so che non si può sicuramente continuare per sempre così, e da qui nasce il malessere. Questo è il controsenso di questa condizione.






Ciao, ho deciso di raccontare un po di come, secondo me, sono diventata un hikikomori. Iniziando con il fatto che ho subito ciò che subiscono la maggior parte delle persone a scuola, ovvero bullismo, prese in giro ecc.. Per fortuna avevo la mia migliore amica del quale grazie a lei mi sentivo bene, in quel momento. Tornando a casa stavo male, molto male perché le mie sorelle mi mettevano in disparte, mi lanciavano oggetti mi cacciavano perché ero la più piccola. I miei son sempre stati menefreghisti, anzi mio padre mi tirava via dalla camera per sgridarmi dicendo che non dovevo gridare. (Si urlavo piangendo). Iniziando le superiori la mia migliore amica da un giorno all'altro si staccò da me e non mi calcolò più, si era creata la sua comitiva. Per lei ci stetti davvero male, non facevo altro che piangere mentre pensavo a lei, era la mia ancora di salvataggio ma mi sentì scaricata, una nullità. In secondo ebbi una cotta a prima vista, una cotta che porto ancora tutt'ora ma purtroppo non andò bene e ovviamente si fidanzò con un'altra. Da lì iniziai a non voler più contatti ad essere sempre triste e a chiudermi in me stessa. Un giorno senza volerlo sentì mia madre dire alle mie sorelle di lasciarmi perdere perché avevo problemi mentali e che non ero normale, d'altronde mi definisce cicciona perché ho i fianchi larghi e un sedere "sporgente". Diciamo che ho iniziato a rifugiarmi nell'alcol, sono un amante del vino. Sono diplomata anche se per un pelo, ho voluto rinunciare mille volte ma non l'ho fatto perché sentivo di dover concludere. Ovviamente anche alle superiori son stata presa di mira e ne ho risentito di più perché non avevo nessuno. Vabbe. Concludendo. Ora vivo barricata in casa e ho ansia del mondo esterno. Cosa che odio. Perché amo viaggiare anche se non l'ho mai fatto, amo l'aria fresca, odio stare in casa anche perché non sto sola. Ma ho paura. Paura perché ci sono persone che ti fischiano, che ti fermano, che ti urlano, che ti fissano. Ho avuto una brutta esperienza con un ragazzo del quale mi tenne in macchina e iniziò a gridarmi a minacciarmi, dire che suo fratello aveva la pistola che se non mi mettevo con lui avrebbe fatto casino. E anche un'altra esperienza sempre con un ragazzo che iniziò a baciarmi nonostante non volessi. Tutti i vecchi amici che avevo adesso non ci sono più. Vabbe e tante altre cose che credo sia meglio concluderla qui perché ho fatto già un romanzo, scusate anche per eventuali errori grammaticali.





Ciao a tutti, ho scoperto questo forum solamente oggi ed eccomi qui. Premetto che , sempre fino ad oggi, non sapevo ci fosse anche un nome per descriverci e, non so se veramente io sia un' hikikomori o no. Perché dico così? Perché sostanzialmente io ogni tanto esco, mi piace comunque stare fuori ma quando sto bene è solamente quando sono sola con me stessa tra le mura di casa, come se non so...è come se il mondo fuori mi sia ostile. In verità lo sento come tale. Dentro casa sto benissimo, non ho voglia di relazionarmi con gente falsa e prepotente, la stessa gente che volendo trovi pure sul web e quando ti rendi conto di come è scatta il blocco. Ho avuto una vita sociale, chiamiamola così, fino al 2010, poi piano piano, sempre perché non ho quasi mai avuto amici che mi cercavano se io non lo facevo, ho perso tutti e ora mi ritrovo con tre quattro contatti in rubrica ma se non sono io a farmi viva loro non lo fanno quindi ho smesso di perderci tempo. Nel 2012 ho avuto un grosso lutto e la mia vita è completamente crollata. Vivevo ancora con i miei e nel 2015 mi sono trasferita al piano inferiore e qui sto benissimo, non ho bisogno di giustificare a nessuno se sto in casa e non esco, un po' che ho 39 anni e un Po che l unica a cercarmi è mia madre e spesso e volentieri le dico che non ci sono,che sono via con un amico. Non mi interessa il mondo esterno,dentro casa mi sento al sicuro,faccio quello che voglio. Sono sempre stata così a dir la verità, da bambina passavo le ore chiusa in cameretta. Non posso definirmi una persona introversa, lo ero da bambina ma con la maggiore età la timidezza mi è passata quasi del tutto. Non ho problemi mentali, sono intelligente,sono laureata,parlo diverse lingue. Ho deciso di fare questa vita, ho cura di me stessa,ho cura della casa è questo mi basta per essere felice o perlomeno per stare bene con me stessa. Che il mondo fuori continui a girare come vuole, io sto bene così. Ho riassunto la mia storia :-) sono sicura di essere nel posto giusto. In verità sarebbe più lunga ma sicuramente avrò modo di raccontarvi tutto
Un abbraccio a tutti





Ciao a tutti! ho 25 anni(quasi 26) e abito in provincia di Bergamo. La mia storia è abbastanza lunga e complicata,cercherò di essere breve e di farmi capire. I miei problemi sono iniziati verso i 13-14 anni quando ho cominciato ad essere vittima di bullismo. E' durato per quasi tutta l'adolescenza,non solo a scuola ma anche al mio paese e poi sul lavoro(tra i 21 e 24 anni). Dai 17 anni in poi ho cominciato a perdere tutti gli amici,ho lasciato il calcio e la scuola. Quel poco di vita sociale che avevo è finita. Piano piano ho cominciato ad entrare in depressione e ad isolarmi,mi sono rifugiato molto nei videogiochi,serie tv,film,musica,libri,ecc. Soffro di ansia e attacchi di panico. Ho momenti buoni e altri cattivi. Ho pensato anche al suicidio tante volte. Sono una persona molto sensibile,relazionarmi con gli altri non è semplice. Non ho la patente e non ho mai avuto una ragazza. Esco solo se necessario e se me la sento. Odio la società di oggi! Ho un fratello e una sorella. I miei genitori litigano quasi sempre,li odio! invece di aiutarmi durante tutti questi anni, hanno solo peggiorato la situazione. Non sono esempi da seguire. Attualmente lavoro solo qualche ora la mattina come addetto alle pulizie in un centro sportivo. Non ho idea di cosa ne sarà di me in futuro. Sto cercando di reagire ma non è facile. Questo mondo è troppo complicato,non mi sono mai sentito capito da nessuno. La gente si approfitta sempre delle persone deboli. Se c'è qualcuno con cui parlare ogni tanto ne sarei contento. Faccio parte anche del gruppo facebook. Sentivo il bisogno di scrivere. Grazie!






Ciao, sono una ragazza di 18 anni e già da circa 3/4 anni sto riscontrando dei problemi, soprattutto quando devo uscire e interagire con le persone, cosa che sta peggiorando piano piano. Ormai è già da 1 annetto che mi sto chiudendo sempre di più in me stessa, quando arriva il momento di andare a scuola mi viene un ansia insopportabile che la maggior parte delle volte riesco a reprimere ma negli ultimi tempi faccio sempre più fatica,esco si è no 1 volta a settimana o per commissioni o per vedere la mia migliore amica (che vedrò 1/2 volte al mese, poi ci sono i momenti di pace che la vedo più volte ma è raro)in più ha l'ansia da prestazione quindi quando devo fare un lavoro mi vengono dei veri e propri attacchi di panico anche se poi mi riprendo e faccio quello che devo fare, sto male pensando al mio futuro, che dovrò trovarmi un lavoro e quindi avere questi attacchi ogni singolo giorno, sto così bene nella mia camera e nella mia casa, sono quasi sempre da sola a casa perché mio fratello maggiore e andato ad abitare via, mio papà e sempre via per lavoro e lo vedo qualche giorno a settimana e quei giorni meno sto con lui e meglio e anche se io gli voglio molto bene però ho l'ansia quando mangiamo e per stare meglio devo andarmene in camera mia al buio da sola, mia madre la vedo poche volte al giorno, i miei e si sono lasciati ormai da anni ma vivono ancora insieme anche se litigano e mio padre deve andare ad abitare da un altra parte, mia madre sta cercando una casa popolare per me è per lei, sono stata male 2 anni fa perché a mia mamma era venuto il cancro al seno, adesso è completamente guarita però mi ha segnato come cosa, in più la mia classe non è delle migliori e forse anche questo mi fa star male al mattino e alla sera al pensiero di andarci, in più ho gli esami quest'anno quindi ulteriore ansia, ho pensato un mucchio di volte di farla finita perché questa non è vita ma non ho mai avuto il coraggio, spero che tutto questo finisca presto non so quanto potrò sopportarlo.







Ciao a tutti, è da qualche giorno che leggo storie su questo forum, tutte molto diverse dalla mia ma sempre con alcuni piccoli particolari in comune.
Ho quasi 30 anni e non so bene se posso definirmi hikikomori; probabilmente vivo su un confine confuso tra questa "condizione" ed altre, di sfumature non troppo diverse.
Non vivo da anni reclusa ed isolata, ho un ragazzo (che al momento vive a 1000 km da me) e ho sempre avuto dei coinquilini da quando ho 21 anni, momento in cui, sfinita dalla vita con i miei, ho deciso di andarmene. La convivenza con altre persone è stata inizialmente un obbligo dettato dalle condizioni economiche ma non è sempre stato uno sforzo ed ho vissuto con tante persone contemporaneamente traendone anche molto piacere ed alcune amicizie.
Questi anni di vita di convivenza con persone (più o meno) estranee probabilmente è il motivo per cui ad oggi non posso definirmi con certezza una hikikomori sebbene a periodi mi capita di rintanarmi nella mia camera senza avere la forza di fare altro che guardare film, serie tv ecc ecc.

In questi periodi, che possono durare da poche settimane ad anche vari mesi o a volte anche un anno, andare a lavorare diventava uno sforzo immane; il solo alzarmi, vestirmi e stare in piedi è vissuto come qualcosa di inaffrontabile. Mangiare e anche lavarmi diventava qualcosa di secondario e avere contatti anche con gli amici (che sono pochissimi, ultraselezionati e che frequento una alla volta) diventa pesante e nauseante.

Al momento sto vivendo un periodo in cui mi sento persa nei miei fallimenti. Ho smesso di frequentare l'ultimo anno di un corso quadriennale in cui stavo investendo moltissimo e che mi avrebbe portato ad avere un lavoro molto interessante e soddisfacente. Era successo al liceo che mollassi all'ultimo anno. E' successo poi all'università ed è successo inevitabilmente anche questa volta. Sono sparita. I miei docenti e compagni non hanno più saputo nulla di me ed il mio compagno ha saputo che avevo mollato il mio corso da terze persone ed al momento è praticamente l'unica persona vicina a conoscenza della cosa.
Questa situazione mi ha ricatapultata a ricercare un isolamento totale e nell'ultima settimana ho praticamente evitato di mangiare per non incontrare nemmeno i miei coinquilini e temo di ritrovarmi come qualche anno fa in cui il numero di lezioni in università a cui non mi presentavo si accumulava fino a perderne il conto e le giornate passate a dormire e le nottate insonni diventavano settimane e mesi.

e mi ritornano in mente quelle volte al liceo in cui la sola idea di entrare a scula mi terrorizzava e mi portava a pensare quanto sarebbe stato più facile se semplicemente non ci fosse stato un domani.

Sono passati quasi 15 anni da quei pensieri ed i domani continueranno ad esserci.. ma so che continueranno ad essere pesanti.

Vi ringrazio per questo spazio.
Scrivere questi pensieri in un posto in cui potranno potenzialmente esser letti è un primo modo per liberarsene, credo, o comunque un primo modo per metterli da qualche parte che non sia dentro. ed è già molto.

Spero di non avervi tediato troppo.

Una Marziana







Non so perché sto scrivendo questo post, posso solo avanzare delle ipotesi: desiderio di catturare l'attenzione? Inconsapevole bisogno di chiedere aiuto? O forse semplicemente mi piace l'idea di lasciare una traccia, un qualcosa che riassuma questi 25 anni di agonia, intervallati da brevi momenti di gioia? Non lo so e non mi importa, perché dopo tutto questo tempo ho capito che farsi delle domande non serve a nulla. Anzi, peggiora solo la situazione. Ma andiamo per gradi.
Mi chiamo Silvia e vivo in un paese in Emilia Romagna. Un posto carino, fatto di storia, cibo (il migliore del mondo secondo la rivista Forbes), campagne sterminate e persone. Si, persone. Purtroppo. Dico purtroppo perché è esattamente questo il motivo per cui non esco di casa da più di sei anni ormai.

In generale non sono mai stata una persona socievole. Quando ero piccola (e parlo dei tempi dell'asilo) le maestre si lamentavano perché preferivo giocare da sola invece che con gli altri bambini. Alle elementari stessa storia, mia madre mi doveva letteralmente trascinare a casa delle amiche. E ogni volta per me era un'agonia perché mi annoiavo a morte. Quel mondo fatto di bambole, peluche e cucine di plastica proprio non faceva per me.. io preferivo starmene a casa a fantasticare di animali, castelli e nobili cavalieri che partivano alla carica lungo distese sconfinate. Disegnavo le mie storie e le illustravo.. e spesso erano storie tragiche, piene di pathos, in cui la realtà appariva esattamente per quella che era. Difficile.

Mi sono resa conto fin da subito che avrei dovuto lottare più di tutti per sopravvivere in mezzo agli altri.

Semplicemente sono nata diversa, con un modo tutto mio di percepire le cose. Mi soffermavo ore ad osservare i colori degli alberi, le forme dei fiori e il movimento degli uccelli e ogni volta che uscivo di casa venivo letteralmente bombardata dagli stimoli. Il mondo mi affascinava e mi faceva paura allo stesso tempo.

Poi sono andata alle medie, e da lì la situazione, che prima era abbastanza sostenibile, ha iniziato a degenerare. Per tre anni consecutivi ho subito episodi di bullismo, senza mai potermi difendere. Mi additavano come quella strana, che non parlava mai. Alzarmi per andare alla lavagna era un incubo perché sentivo le loro risate dietro le spalle. Uscire durante l'intervallo ancora peggio, perché mi molestavano fisicamente. Una pugnalata al cuore ogni singola volta.. Così ho iniziato pian piano a isolarmi sempre di più, a diventare sempre più impacciata nelle relazioni, fino a perdere quasi completamente l'uso della parola. Gli unici posti in cui mi sentivo a mio agio erano a casa con i miei genitori (anche se litigavano tutto il tempo) e in mezzo agli animali, in silenzio.

Al liceo le cose sono leggermente migliorate, finalmente. Ho incontrato le mie prime vere amiche. Persone con le quali condividevo un minimo di interessi, anche se rimanevano pochi. Ho iniziato ad aprirmi un po' e ad uscire regolarmente, e il mio carattere si è fortificato. Credevo di aver trovato il mio posto finalmente, ma mi sbagliavo perché quando è stato il momento di scegliere l'università ho passato uno dei periodi peggiori in assoluto. Non sapevo cosa fare della mia vita. In particolare mi spaventava a morte l'idea di trovarmi in un ambiente in cui non conoscevo nessuno, in una città in cui non ero mai stata. Così ho preso la decisione peggiore di tutte. Ho seguito la massa. Mi sono iscritta alla facoltà di psicologia solo perché si erano iscritte le mie amiche. In questo modo mi sarei sentita al sicuro, senza necessità di interagire con sconosciuti.

Mi sono resa conto fin dal primo giorno che la mia scelta era sbagliata.. la mia strada non era quella (volevo studiare arte) ma nonostante questo sono riuscita a laurearmi a pieno voti, quando la maggior parte dei miei conoscenti ha abbandonato. Devo ringraziare e maledire allo stesso tempo la mia perseveranza. Adesso mi trovo qui, da sola con un laurea che non mi darà nessun futuro, perché non é quello che voglio fare realmente. Non sono portata per le relazioni sociali.. gli esseri umani mi interessano troppo poco. Dovrei iniziare il tirocinio a breve ma non me la sento perché ho paura che nell'ambiente si accorgano dei miei problemi. Ho provato più volte a cercarmi un lavoro ma ho sempre fallito a causa della mia incapacità di mantenere una conversazione e di intrattenere gli altri. Non ho la più pallida idea di come farò per mantenermi, soprattutto perché non so fare niente oltre a fantasticare dalla mattina alla sera. Passo le mie giornate chiusa nella mia stanza al buio, senza nessun contatto oltre al mio ragazzo e mia madre, le uniche persone che al momento sopporto.. e ho la netta sensazione che il mio cervello si stia atrofizzando in quanto faccio sempre più fatica a formulare discorsi scorrevoli. Credo di avere dei seri problemi di depressione, ma l'idea di vedere uno psichiatra mi spaventa, perché dovrei uscire di casa e affrontare le mie paure. In più mia madre si è ammalata quindi a tutto ciò si somma il terrore di perderla, e di rimanere completamente da sola.
Mi chiedo spesso che senso ha venire al mondo e passare il 90% del proprio tempo soffrendo, senza poter fare nulla per risolvere la situazione. Questa non è vita, è un incubo. E sempre di più si sta facendo strada nella mia testa l'idea di farla finita in maniera indolore. Dopotutto è chiaro che il mondo non ha bisogno di gente come me. Sono solo un inutile peso per quelli che mi circondano, ne sono consapevole. Eppure non riesco a sbloccarmi. A volte penso che l'unico modo per guarire sarebbe quello di finire in mezzo a una strada, senza cibo né acqua. Allora forse mi attiverei per raggiungere uno scopo.

Per il momento non posso fare altro che rimanere qui, nella mia stanza, e provare a distrarmi in tutti i modi possibili da queste domande senza risposta, che non mi porteranno mai a nulla se non alla consapevolezza di essere completamente impotente.

Guardo il cielo con le sue nuvole piene di colori, come facevo da piccola, e non posso fare a meno di pensare a quanto siano belle e irraggiungibili allo stesso tempo.




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