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"Come si aiuta chi non vuole essere aiutato?": le riflessioni di Carla Ricci




Il 3 gennaio 2017 scrissi un post dal titolo "Come si aiuta chi non vuole essere aiutato?", che raccoglie una serie di riflessioni nate dal confronto quotidiano con i genitori del gruppo Facebook di Hikikomori Italia. Madri e padri impotenti di fronte alla scelta di isolamento del figlio, il quale continua a rifiutare qualsiasi genere di aiuto, sostenendo di non averne alcun bisogno.

L'articolo in questione ha riscosso molto interesse, tanto da attirare anche l'attenzione dell'antropologa Carla Ricci, autrice di numerosi libri sul fenomeno degli hikikomori e attualmente ricercatrice all'Università di Tokyo. 

Mi ha scritto alcune riflessioni. Ve le riporto integralmente.




- Carla Ricci -



Nell’intervista rilasciata a "Hikikomori Italia" due anni fa, ho esposto il tessuto in cui - secondo la mia esperienza - si intreccia la realtà hikikomori e i molti elementi che messi assieme finiscono per trascinare il giovane nella propria stanza, luogo considerato più soddisfacente di tutto ciò che sta oltre ad essa. Ho citato le concause che rafforzano, consciamente o no, l’incapacità di affrontare la realtà del mondo che a quel giovane sembra non interessare più, forse lo sente troppo impegnativo o semplicemente l’idea di prenderne parte non procura né curiosità e né passione. 

E’ esatta l’osservazione che molti di loro non desiderano essere aiutati, ma è anche sensato dubitare che possa funzionare un aiuto che viene da qualcuno che appartiene a ciò che viene rifiutato. Voglio intendere che se non è credibile quel mondo perché dovrebbero esserlo le parole di coloro che ci vivono, ci credono o comunque, partecipano affinché continui ad esistere così come è? In questo modo, e sempre non dimenticando l’inconscio, diventa abbastanza comprensibile il fatto che molti hikikomori chiedano di essere lasciati in pace sostenendo di star bene così come sono.

Per questi giovani penso di poter affermare che una svolta o una possibilità di svolta si potrebbe attivare con la creazione di una realtà che ancora non c’è, la realizzazione cioè di un “altro tipo di mondo” differente da quello da cui loro si sono volontariamente allontanati, un mondo in cui forse esiste qualcosa che, seppur non sapendolo, vanno cercando e al cui humus potrebbero lentamente sentirvi sintonia e forse anche aderirvi. 

Alla messa in opera di questa esperienza è evidente che il giovane non può venirne coinvolto, ma sarà la famiglia ad esserne l’artefice, sempre che abbia le caratteristiche per farlo. Non tutte, infatti, le possiedono. Fra queste vi sono le famiglie che potrei definire inscalfibili i cui membri, cioè, conducono uno stile di vita pienamente soddisfacente, che sono motivati, che di base non hanno forti conflitti né personali né sociali, che si sono fatti la loro strada, che hanno chiari gli obiettivi che intendono realizzare, che sono critici verso gli altri ma che solitamente non hanno niente da ridire su se stessi. 

Questi genitori non hanno alcun tipo di ragione per crearsi una differente realtà, non ne sentono alcuna esigenza volendo vivere la vita esattamente come la stanno vivendo e nei confronti del figlio che non vuole aiuto potranno solo attendere con solerte attenzione e sagace pazienza che accada qualche fatto provvidenziale; se sarà positivo sbloccherà un poco la situazione e se sarà negativo (condizione di solito più frequente) costringerà il giovane a cedere su qualcosa.

Ci sono altre famiglie, invece, in cui l’esperienza che ho citato è fattibile, almeno potenzialmente. Famiglie meno certe di se stesse, che nell’apparenza tentano di mostrarsi come quelle inscalfibili, ma che nella realtà i loro membri si sentono stanchi e demotivati. Sono esse persone che rispetto alla propria vita ne vivono palesi conflitti e che con sempre più frequenza si trovano ad osservarne le banalità cominciando ad averne un senso di rigetto, persone che a volte dicono che sarebbe bello vivere in un altro luogo ma in cuor loro sentono che probabilmente non servirebbe a niente, che giudicano il mondo ma sono critici anche verso se stessi, che non riescono più a divertirsi come facevano in passato come se quello che facevano ora lentamente stesse perdendo di senso. 
Anche nei confronti del piccolo schermo digitale, seppur ne siano come tutti dipendenti, cominciano a sentire qualcosa di differente, come se intuissero che si sta portando via qualcosa di loro e che mai più sarà reso. 

Sono queste le famiglie che verso se stesse possono fare ciò che nessuna società al mondo è in grado di fare: demolirsi e ricostruirsi, riformandosi su nuove basi, nuove prassi, nuove abitudini, nuove strategie, nuova filosofia, nuovi intenti, affinché si possa dare vita ad un ambiente comune dove parole come volontà, determinazione, passione, discussione, studio, interesse, responsabilità possano esprimersi in una nuova, vibrante e creativa identità. 

Tutto questo richiede tempo e intraprendenza tuttavia è quasi certo che se riusciranno a mettere in moto questo nuovo piccolo mondo (ed il farlo è pienamente possibile), seppur sia inizialmente nato per aiutare il figlio esso verrà innanzitutto individuato come una esperienza feconda e stimolante per loro stessi, esperienza dalla quale non si intenderà tornare indietro bensì si vorrà proseguire e migliorare.





"Alba blu" - Losing You



Ma a colui per il quale tutto è cominciato, ovvero l'hikikomori, cosa succederà? Forse niente, forse qualcosa, forse tutto. Certamente, se i suoi genitori verso l’esperimento a cui hanno dato vita continueranno a sentirne entusiasmo e interesse, verrà sicuramente un momento in cui egli comincerà a rendersi conto che in casa qualcosa è cambiato anzi che molto è cambiato; la sua famiglia non è più la stessa, i ritmi, le abitudini, gli atteggiamenti di ogni membro sono diversi così come lo sono il modo di passare il tempo e i contenuti delle conversazioni compreso il modo stesso di colloquiare. Il prendere atto di questa situazione non significa che desideri parteciparvi, ma da quel nuovo ambiente - che lo voglia o no - ne sarà imbevuto, ne verrà contagiato, ne riceverà ascendenti. 

Questo poiché è peculiarità di ogni uomo formarsi e modificarsi in funzione anche di ciò che trova attorno a sé, è la sua stessa attività neuronale che lo induce a imitare ossia a ricalcare non solo le azioni, ma anche gli stati emotivi delle persone che appartengono il suo ambiente. E per averne la conferma non è necessario essere psicologi o neuro-scienziati ma basta guardarsi attorno, osservare il mondo e ancor prima la propria società. 

Anche se, per il fatto di essere chiuso in camera, di ciò che sta avvenendo non ne sarà un diretto osservatore e tanto meno un attivo partecipante, il giovane assumerà l’aria diversa che in casa si respira da cui trapela qualcosa di nuovo che né a scuola né nei luoghi che frequentava ha conosciuto e se fra quel qualcosa di diverso c’è anche una sola circostanza che il giovane riconosce un po’ sua vale a dire che gli piace e che lo attrae, la risonanza sulla sua psiche sarà straordinariamente amplificata. 

Ora è realmente possibile che gli giunga il sentimento di chi in casa è intento a mettersi alla prova per riformare valori e azioni su altre basi, una casa in cui si cerca di costruire senso di responsabilità ma anche solidarietà, dove si può vivere con leggerezza ma senza mediocrità, dove si sa riconoscere la banalità e se ne rifiuta l’invadenza. Con questo stato d’animo che il giovane ha inconsapevolmente assunto, è possibile che senza tante elucubrazioni mentali egli si trovi a fare qualcosa, una piccola partecipazione a qualcosa che gli farà testare il nuovo luogo dove si trova.

Le famiglie che stanno tentando questa strada ci sono, sia in Giappone che in Italia e qualche primo frutto è già stato colto. E’ una strada lunga che richiede volontà e impegno tuttavia da subito c’è qualcosa che cambia aspetto ed è la sofferenza per l’avere il figlio hikikomori. Essa non certo si dilegua ma viene vista sempre meno come una disgrazia e sempre più come una circostanza importante, innanzitutto poiché ha posto le basi affinché il piccolo nuovo mondo prendesse vita offrendo ai suoi partecipanti la possibilità di sperimentare se stessi e la propria esistenza scegliendone delle basi differenti. 

La volontaria reclusione del figlio comincerà ad essere osservata con altro sguardo, pur continuando a non capirla si avvertirà con chiarezza che le cause che l’hanno messa in atto sono frutto anche di ciò che loro stessi ora stanno cercando, a loro modo, di mettere in discussione e a cui nella fucina della propria famiglia stanno tentando di darne diversa foggia. Con questa cognizione si preparano a ciò che accadrà, ossia alle piccole o grandi evoluzioni che il figlio prima o poi compirà pronti anche ad accettare non il ritorno sociale a cui fin dall’inizio del ritiro avevano auspicato, vale a dire tutto come prima come se niente fosse successo. 

Sarà tutto da ripensare e, poiché il futuro libera dal passato, si potranno creare vie di mezzo che possano andar bene a tutti, senza particolari aspettative ma continuando fiduciosi il cammino che sempre offrirà nuovi scenari se si sapranno cogliere.

Mi sento di affermare che se gli esecutori del piccolo nuovo mondo non demorderanno e sapranno conservare un atteggiamento sincero e incondizionato, l’inaspettato potrà decisamente accadere e il circolo vizioso potrà trasformarsi in virtuoso, senza alcuna retorica.




Carla Ricci
Tokyo, 29 giugno 2017


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Commenti

  1. Riflessioni di rara acutezza e bellezza: chiamano alla responsabilità le famiglie dell'hikikomori, riconoscendo loro l'assoluta importanza che esse hanno nel destino del figlio. La bella immagine del "piccolo mondo nuovo" (perché questo è la famiglia del piccolo essere umano, un micro-mondo, una micro-società che accoglie e prepara a quella più grande e difficile), riconosce lo sforzo quotidiano di quei genitori che si mettono in gioco, nella stanza dello psicologo, portando emozioni e provando a dare un senso nuovo a tanti passaggi del passato che hanno portato a questo presente, ma soprattutto quando tornano a casa e provano piccoli grandi cambiamenti nella relazione coi figli, nuovi modi di chiedere, di usare il tono della voce, di attendere, di avvicinarsi e di allontanarsi, di pensare a loro stessi, alla loro famiglia, al senso della realtà in cui vivono. Piccoli grandi cambiamenti, nella speranza che si riflettano e animino qualcosa nella vita del figlio, che magari continua a rispondere loro e agli psicologi che sta bene, che va bene così, che non uscire di casa è una scelta. Ma perché si fa così fatica ad accettare questa risposta? Questo "Sto bene"?Io credo perché non è la risposta che il ragazzo o la ragazza danno ai coetanei di cui si fidano in rete, e nemmeno a loro stessi. Sentimenti, emozioni e conflitti interni ce ne sono eccome, come ci sono in tutti noi, la vera domanda è come possano pensarli e raccontarli alle persone attorno a loro se di queste non si fidano, perché attori di un mondo in cui non si riconoscono. Ma il lavoro delle famiglie, il piccolo mondo nuovo da costruire ogni giorno, forse inizierà ad aprire la strada alla fiducia e alle parole, al tentativo di dare forma e senso a quella grande massa ingarbugliata che porta a dire: "Sto bene così"

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  2. Domanda: come ci si reinventa in modo che il cambiamento venga percepito dall'isolamento? Più disponibilità rispetto a quella dimostrata, dimeno per farne notare la mancanza? Più ricerca di dialogo o risposta all'isolamento con isolamento?

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    1. Gentile anonimo, provo a rispondere alla sua domanda: il cambiamento si percepisce se le famiglie trasmettono un messaggio di speranza riguardo al futuro e alla possibilità che la società possa cambiare partendo dal proprio nucleo famigliare, allo stesso tempo senza negare il punto di vista dell'hikikomori. Occorre coinvolgere il ragazzo o la ragazza, Occorre fargli percepire che lui può essere utile a qualcosa anche uscendo dalla propria stanza. Eviterei di rispondere all'isolamento con altro isolamento perché questo peggiora il problema. Per una famiglia può essere un cammino lungo, doloroso e spesso frustrante, ma supoortati da professionisti preparati confido che ce la si possa fare.

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  3. Dunque la famiglia, mentre si trasforma, diventerebbe operatore, a volte consapevole e a volte no, della necessaria trasformazione sociale nella delicata e importante direzione del divenire inclusiva nel profondo senso della parola ( necessità sentota profondamente da coloro, Hikikomori e simili, che sono più sensibili e non belligeranti) e non violenta?

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