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Lettera di un hikikomori alla ex professoressa



Salve Marco e Hikikomori Italia. Sono un ragazzo 25enne del Piemonte. Di recente ho pensato di mandare una lunga lettera alla mia ex-professoressa delle superiori riguardo il fatto che ciò che ho passato andava ben oltre il classico bullismo, e come la mancanza di supporto emotivo e psicologico mi hanno dato un'idea sbagliata della mia persona, con conseguente isolamento sociale decennale. Ho voluto condividere la mia email con voi come personale testimonianza degli accaduti, in una versione leggermente modificata per rispettare la privacy di tutte le persone coinvolte.





Gentile Prof.ssa ***
Non so se lei si ricorda di me, io sono ***, un ex-studente dell'istituto *** della classe ** IT, anno scolastico 2011-2012 dove lei insegnava Lettere, se non ricordo male. Mi dispiace disturbarLa così di punto in bianco, anche perché presumo che molti ricordi di quello specifico anno (insignificante forse per tanti, sicuramente non per me) siano ormai spariti nelle profondità della sua mente, ma sento il bisogno di doverli richiamare per motivi a cui arriveremo a breve.
Ho vissuto gli ultimi dieci anni della mia vita con un senso di vuoto, affiancato da una confusione che facevo fatica a comprendere. Per lunghissimo tempo ho pensato di essere io il problema, di essere quello "sbagliato", una persona senza valore. Tutto questo mi ha portato a pensare che non merito né attenzione, né affetto, né una carriera significativa. Passavo le giornate riflettendo, per dare un senso a tutto ciò che mi è capitato, oppure a distrarmi con videogiochi e musica, finché non mi sono detto "basta!". A quel punto, ho cominciato a cercare delle risposte, principalmente tramite argomenti di psicologia umana e dinamiche sociali. Mi sono chiesto: “Se sono davvero io il problema, voglio vedere come posso risolvere i miei difetti e migliorare il mio carattere”. Così mi sono messo a leggere molti articoli, molti libri e guardare molti video sull'argomento che mi interessavano, oltre che visitare una psicologa che si è rivelata davvero molto professionale, in grado di comprendere il mio stato d’animo.
È stata una strada lunga e difficile da percorrere, ma per la prima volta in tutta la mia vita, sto finalmente cominciando ad avere le idee chiare. Ho capito che non è necessario dare un senso a ciò che mi è capitato, né dovrei continuare a sondarne le ragioni in un ciclo di riflessione continuo, ma gli effetti che quei momenti del passato hanno avuto e stanno ancora avendo su di me, con delle conseguenze che sono risultate devastanti sulla mia persona. Una persona che ho quasi finito per odiare. Mi rabbrividisce il fatto che tutte le figure adulte che ho avuto vicino hanno cercato di farmi credere che io fossi il problema, in quanto troppo sensibile.
Informandomi sugli effetti della negligenza emotiva, sull'abuso emotivo e la manipolazione psicologica, e sugli effetti dei traumi che essi comportano, ho capito che in realtà non odio la mia persona, odio ciò che mi è stato fatto. Queste informazioni sono state di grande aiuto, ma allo stesso tempo mi trasmettono ancora più rabbia. Una rabbia che forse ho sempre tenuto nascosta da ragazzino, per non deludere le mie figure di riferimento, sulle quali avrei voluto contare.
Detto questo, vorrei entrare nello specifico e dirLe cosa mi ha spinto a mettermi in gioco, scrivendoLe questa mail. Partirei dal rapporto che ho avuto con i miei ex-compagni di classe.
Per farLe capire quanto è stato importante per me quel periodo, mi ricordo ancora i nomi dei capibranco che coinvolsero studenti di diverse classi per colpire la mia persona e soddisfare ancora di più le loro tendenze violente: *** e ***. In particolare quest’ultimo: su internet continuò a spacciarsi per dottore, astronauta, psicologo, magnate del business e quant'altro non solo per creare un'immagine significativa di sé agli occhi di tutti, ma anche per cercare di manipolare gli utenti che si imbattevano in lui. Nessuno con almeno metà cervello ci sarebbe cascato a pieno, ma ciò la dice comunque lunga sulla persona con cui ho dovuto aver a che fare.
Tutto è iniziato nei primissimi giorni di scuola, quando notai gli studenti ridere di me per via di qualche mia caratteristica fisica (che, al giorno d'oggi, considero nulla di anormale). Classico bullismo da quattro soldi, infatti anche io cercai di riderci su, o almeno di ignorarli, commettendo di fatto un grosso errore, perché con la mia mancata risposta ho legittimato la loro posizione. Infatti, col tempo le cose peggiorarono sempre di più, sfociando nel vero e proprio abuso emotivo (umiliazioni pubbliche, minacce dirette, azioni persecutorie, …) e occasionalmente violenza fisica. *** indossò diverse maschere in base alla situazione: durante le giornate a scuola mi perseguitò, mi umiliò, trovò modi per far pagare a me le conseguenze delle sue azioni davanti ai professori, mentre al di fuori degli orari scolastici si confidò con me come un amico in chat testuale di Facebook per spingermi a riavvicinarmi a lui. ***, invece, fu quello che mi minacciò, mi mise le mani addosso ed era un tipo imprevedibile. Con loro si unirono non solo metà della nostra classe, ma anche altri studenti di varie classi in giro per la scuola. Da zimbello della classe, passai a essere lo sfigato di un'intera scuola che girovagava su un campo minato.

Una volta è successo che quel branco dedicò a me una canzone da loro creata e la caricarono pubblicamente su Youtube. Mi ricordo solo una piccola parte del loro testo, cito testualmente: "Fai vomitare solo a guardarti, sai". Avrei dovuto reagire con una bella denuncia, ma ero un ragazzino ignaro e indifeso, non sapevo come comportarmi per uscire da quella situazione. Neanche i miei genitori sono riusciti a darmi un appoggio adeguato. Avevo paura di reagire, perché ogni volta che cercavo di rispondere alle minacce, venivo punito.
Provi a immaginare come ci si sente ad alzarsi ogni mattina con l'ansia e la paura addosso. Immagini quante emozioni ho dovuto sopprimere per restare "forte" ogni volta che mi recavo all'entrata della scuola. Immagini come mi sentivo nel sapere che quei compagni di classe, che avrebbero dovuto affiancarmi nel mio percorso scolastico, erano in realtà delle persone ostili. Il senso di solitudine mi corrodeva dall’interno, neanche le figure adulte di riferimento mi sono state vicino, minimizzando ogni accaduto. Eppure io continuai a comportarmi bene con tutti loro, nonostante le violenze che ho subito. Pensai: "Se mi comporto da amico, magari prima o poi la smetteranno". Che illuso. Ricordo che abbastanza spesso mi chiudevo in bagno e lasciavo scorrere un po' il tempo, perché quello era l'unico posto sicuro dell'edificio. A volte uscivo anche dalla classe per fare una camminata nei corridoi vuoti e allontanarmi per qualche momento. In un episodio di forte debolezza e tensione, ho anche lanciato un banco durante una lezione, per attirare l’attenzione dell’insegnante che rifiutava di intervenire per mettere fine alle mie angherie. Nelle giornate di scuola piene (quindi dalle 8 di mattina fino alle 6 di sera) pensavo spesso di buttarmi giù dalla finestra per l'eccessivo carico mentale che queste giornate comportavano. Ho pianto davanti alla vice-preside, e io sono una persona che molto raramente tende a versare delle lacrime. Faticare sia per lo studio che per sopravvivere in un ambiente interamente tossico, immaturo e narcisistico è stato fin troppo per me. Vivevo ogni singolo giorno oltre il mio limite, mi sentivo come se stessi camminando sui gusci d’uovo.
Di norma, in una situazione del genere, dove la salute mentale di un individuo è a rischio, si dovrebbe cercare di risolvere la situazione mostrando comprensione, supporto, validazione.
Lei ha mai visto un film del 1944 chiamato "Angoscia"? Nella lingua originale, è chiamato "Gaslighting". Il film ha coniato questo termine per descrivere una forma di violenza psicologica che ha lo scopo di far dubitare la vittima della sua stessa memoria e percezione. Se io dovessi descrivere la metà dei professori che ho avuto nella mia vita, posso farlo con una sola parola: "enabler". Un enabler è una persona che, essenzialmente, supporta il carnefice, anche tramite la trascuratezza nei confronti della vittima, quindi è, in sostanza anch'essa, complice delle violenze che la vittima subisce, volontariamente o meno.
Quindi lei, prof.ssa ***, mi duole dirlo ma è rientrata in questa categoria. Ricordo le prime volte che ho subito certe umiliazioni, e tutto ciò che ho sentito da lei è stato "ignorali". Le faccio una domanda: che tipo di società crede che si possa creare ignorando la violenza? Quando la situazione cominciò a peggiorare, mi sentii dire da tutti voi che la causa di tutte queste violenze era la mia "permalosità", e che ero troppo sensibile. Forse lei non si ricorda, ma spesso io e lei discutevamo di questi argomenti, anche in presenza dei miei genitori. Discussioni che si sono rivelate inutili, perché piuttosto che cercare di risolvere o almeno identificare la fonte del problema per poterlo sviscerare, tutta l'attenzione era solo rivolta ai miei difetti caratteriali e alla mia "esagerata sensibilità". Quindi vorrei farle un’altra domanda: se una persona è secondo gli standard "troppo permalosa", sono sempre e comunque giustificate le violenze che ha subito?
Ho anche vissuto episodi di "colpevolizzazione della vittima". Ricordo una volta quando io risposi verbalmente alle minacce di ***, e quest'ultimo cominciò ad assalirmi fisicamente. Subito dopo arrivò il professore di ginnastica (che purtroppo non ricordo il nome, ma mi ricordo la sua faccia con capelli e barba corti e la tuta verde che indossava sempre) che mi prese a forza con la mano e mi urlò in faccia dicendo di smetterla, mentre il bullo uscì di scena in tutta tranquillità. Pur essendo una persona educata, quel giorno risposi male al professore, con frasi che non vorrei ripetere. Un'altra volta il branco di *** fece rumore in classe durante una lezione, cercando di darmene la colpa. La professoressa in cattedra, convinta che io fossi colpevole, mi intimò di smetterla. Ho provato a convincerla della mia innocenza, ma fu tutto vano. Lei fu anche la professoressa di mio fratello, ed ebbe il coraggio di andare da lui sostenendo di non aver mai conosciuto una persona così maleducata. Come sempre, io non potevo fare altro che sopprimere la rabbia che provavo in quei momenti.
Sono successe tante altre cose, come ad esempio i professori che fecero finta di niente mentre i miei aggressori mi lanciarono oggetti DURANTE LA LEZIONE. Per contro, appena io provavo minimamente a reagire con gesti innocui, questi venivano visti come segno di maleducazione e mancanza di rispetto. Mi è rimasta impressa una giornata che ho passato, io seduto su una sedia con Lei e mia madre. Non ricordo di cosa stessimo parlando nello specifico, ma più volte il mio comportamento venne giudicato strano. A mio parere è strano non reagire alle minacce e alle violenze, è strano non avere l’appoggio delle figure di riferimento, è strano non denunciare questi atti di bullismo e mettere fine a qualcosa che mi è costata la giovinezza. O sono strano io a pensare queste cose? Vivere queste esperienze mentre si è vittima del bullismo, credo sia una delle umiliazioni più grandi di sempre.
Dopo una lezione, un supplente venne da me e mi disse: "Allora sei tu quello di cui parliamo tra colleghi...". Quella fu l'unica volta in cui questo supplente ci fece da insegnante, quel giorno. Non l'avevo mai visto prima d'ora, ma ciò che mi disse in quel momento mi diede i brividi. Quella credo fu la prova del fatto che io spesso ero citato nelle riunioni tra professori. I professori sapevano cosa stavo passando, ma piuttosto che cercare di rendere l'ambiente scolastico più sicuro per tutti, preferivano piuttosto prendere la scorciatoia, cioè colpevolizzare la vittima per poi trascurarla, ed è lì che nasce la manipolazione psicologica.
Ho capito solo di recente che le mie reazioni a certe situazioni NON sono state esagerate. Sapevo di sentirmi letteralmente male, sapevo di essere dentro un ambiente a cui non volevo essere associato. Oltre agli studenti carnefici, le altre persone non sono state esattamente "amiche" per me, ma semplici conoscenti che a volte mi parlavano un po', altre volte mi isolavano. Mi sentivo solo perché ERO SOLO. E ogni singolo giorno, nonostante il male che ho subito, non ho mai visto, MAI VISTO i miei aggressori venire puniti per le loro malefatte. Il massimo che vidi fare dai miei professori fu semplicemente dire a loro "piantatela". Ma la giornata finisce e domani è un altro giorno.
Adesso ho 25 anni. Mi ci sono voluti 10 anni, dopo il mio ultimo anno di scuola, per realizzare che tutto ciò che sento dentro di me - le mie emozioni, i miei pensieri e i miei disagi - è valido, e nessuno dovrebbe dirmi il contrario. Se io sento caldo o sento freddo, lo decido io. Se a me quel cibo piace o meno, lo decido io. Se una persona mi aggredisce deliberatamente, ho tutto il diritto di rimanerci male, e soprattutto di difendermi e di reagire, perché sono un essere umano, e come tale ho il diritto di sentire delle emozioni. Mi ci sono voluti 25 anni della mia vita per trovare delle persone che, ascoltando le mie parole, ci rimangono male a livello emotivo ed empatizzano con me. Nessun altro prima di loro l'ha fatto. Ho cominciato ad odiare me stesso perché la manipolazione psicologica che ho subito mi ha fatto credere di essere il problema, quando invece non è così. Questi traumi, che sto ancora cercando di eliminare, mi hanno reso un isolato sociale, un "hikikomori", per 10 anni, senza un diploma, senza una vita sociale e con il costante pensiero che i miei carnefici sono riusciti a passarla liscia mentre io devo impegnarmi al massimo per guarire e riparare a dei danni che non ho nemmeno causato io direttamente.
Scrivere questa mail per me è stato difficile. Credo di non essere riuscito a dire tutto quel che avrei voluto esprimere, ma spero almeno di aver reso l'idea. Ho voluto scriverLe la mail per diversi motivi, non tanto per trasmetterLe dei sensi di colpa, né tantomeno per pretendere da Lei delle scuse. Ho solo bisogno di provare ad andare avanti nella vita, di mostrare più rispetto per me stesso cercando di reagire (anche se solo testualmente), e fare in modo che situazioni del genere, in futuro, non accadano più. Spero che Lei sia ancora un’insegnante, La autorizzo a diffondere questo messaggio per portare una testimonianza di sofferenza, in modo che tutto questo non possa mai più capitare a nessun altro essere umano."





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