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Curare l'ansia sociale con la Realtà Virtuale: è possibile?


Le nuove tecnologie, in particolare i videogiochi, vengono spesso additate come responsabili dei problemi di isolamento sociale dei giovani, e in parte ciò è vero, ma in questo video vorrei parlarvi delle loro potenzialità positive e in particolare di quelli che potrebbero essere gli utilizzi a scopo terapeutico della cosiddetta realtà virtuale.


Lo sapete bene, con “realtà virtuale” si intende l’immersione del soggetto in un ambiente completamente digitale, solitamente attraverso i visori, una tecnologia ancora acerba ma su cui le grandi aziende tech stanno investendo miliardi.




La realtà virtuale non è da confondere con la realtà aumentata, che invece consiste nell’utilizzare le nuove tecnologie, come per esempio lo smartphone, al fine di generare nuove informazioni create digitalmente ma da noi percepibili come all’interno del mondo reale.

Uno dei più popolari esempi di realtà aumentata è quella di Pokemon Go, che è stato molto criticato per il grande numero di incidenti che sembra aver provocato, compresi incidenti mortali (anche se alcuni sono stati riportati dalla stampa in maniera fuorviante, come sempre per creare inutili allarmismi). Ma uno studio uscito di recente, ovvero nell’aprile 2022, condotto su un campione molto vasto e dislocato in dodici diverse nazioni del mondo, ha identificato una significativa diminuzione dei sintomi depressivi proprio in quei luoghi dove Pokemon Go è più diffuso, concludendo che quest'ultimo abbia degli effetti positivi sulla salute psicosociale grazie alla sua capacità di favorire interazioni faccia a faccia e un maggiore contatto con la natura.


Lo scetticismo sulle nuove tecnologie

Nonostante questi dati molti professionisti della salute mentale continuano a essere scettici sulle potenzialità delle nuove tecnologie e mantengono uno sguardo tendenzialmente critico su tutto ciò che ha a che fare con il mondo digitale, sovrastimando probabilmente le responsabilità delle nuove tecnologie nei disturbi psicologici più comuni del nostro tempo. Per esempio molti sono convinti che l’hikikomori sia causato da internet o dai videogiochi, quando l’esplosione del fenomeno viene fatta risalire in Giappone nell’era pre-digitale, dimostrando inequivocabilmente come il ruolo delle nuovo tecnologie nel crescente isolamento sociale sia solo parziale.

Il pregiudizio negativo nei confronti di tutto ciò che appartiene al digitale deriva in parte anche da quello che viene chiamato “Rosy retrospection” (o retrospettiva rosea), un bias cognitivo che ci porta percepire tutto ciò che è stato come migliore di ciò che è o che sarà. Di conseguenza rimaniamo legati a vecchi paradigmi e facciamo fatica ad approfittare delle risorse del nostro presente.

Ma la paura e lo scetticismo dipendono anche dalla familiarità che abbiamo con lo strumento: i cosiddetti nativi digitali ovviamente tendono a muoversi con maggiore sicurezza online, e in questi casi il rischio è quello opposto, ovvero di sottovalutare i pericoli.


La realtà virtuale per curare le fobie

Lo scetticismo di molti verso le nuove tecnologie contribuisce anche a un loro scarso utilizzo in ambito psicologico clinico, nonostante siano ormai numerose le prove scientifiche che dimostrano le loro enormi potenzialità in questo campo.

Pensate che già negli anni ‘90 la realtà virtuale è stata testata come possibile strumento per combattere varie fobie di natura psicologica. Per esempio, nel 1995 all’università di Atlanta è stato condotto uno studio che ha sfruttato la realtà virtuale nella cura dell’agorafobia, una grave forma di fobia sociale che riguarda la paura e il panico vissuto in quegli spazi dai quali è difficile o imbarazzante allontanarsi, per esempio quando ci si trova su un autobus affollato o in una piazza piena di persone.

La tecnica terapeutica più utilizzata in questo caso viene chiamata “systematic desensitization” (desensibilizzazione sistematica), che consiste sostanzialmente in tre fasi: rilassamento muscolare, individuazione delle proprie paure e infine un’esposizione graduale alle paure stesse. L’esposizione può avvenire dal vivo, oppure anche attraverso la visualizzazione dell’oggetto della fobia nella propria mente. Con la realtà virtuale si crea anche una terza opzione. Per esempio, nell’esperimento citato sono stati ricreati tutta una serie di scenari temuti dagli agorafobici, e si è visto come l’esporsi digitalmente ad essi abbia comportato nei partecipanti allo studio un miglioramento nel tempo della sintomatologia rispetto al gruppo di controllo. Questo perché esporsi gradualmente alla situazione o all’oggetto temuto ci aiuta a desensibilizzarci, mentre l’esposizione repentina a esso rischia di creare un trauma che finirà per alimentare ulteriormente la nostra paura.

Esperimenti simili sono stati condotti anche per altre tipologie di fobie, come per esempio l’acrofobia, ovvero la paura dell’altezza, e anche in questi casi i risultati ottenuti sono stati sovrapponibili a quelli rinvenuti con le terapie dal vivo (Emmelkamp et al., 2002).


La realtà virtuale per curare l'ansia sociale

Come immaginerete, e come avete letto anche dal titolo, l’ambito di applicazione che personalmente ritengo più interessante per quanto riguarda la realtà virtuale riguarda la lotta all’ansia sociale, una delle problematiche psicologiche più diffuse in assoluto nella nostra società e causa di molteplici sofferenze, tra cui anche, nei casi estremi, la condizione di hikikomori. Anche la ricerca scientifica si sta infatti concentrando sempre di più in questo ambito e gli articoli in merito sono tantissimi. Per esempio nel 2017 è stata effettuata una comparazione tra il trattamento dell’ansia sociale dal vivo rispetto a quello con la realtà virtuale.

Le tipologie di esercizi sociali a cui venivano esposti i partecipanti del gruppo dal vivo consistevano per esempio nel chiedere l’orario, commettere errori in pubblico, indossare calzini di colore diverso, fare richieste fuori luogo in un negozio di vestiti, ecc. Gli esercizi richiesti invece al gruppo che utilizzava la realtà virtuale erano: parlare in pubblico durante una riunione, sostenere un colloquio di lavoro, presentarsi a un coinquilino, ecc. Entrambi i gruppi hanno avuto significativi miglioramenti nella loro ansia sociale rispetto al gruppo di controllo, ma i risultati ottenuti dal gruppo VR sono stati i più positivi in assoluto, a testimonianza della validità dello strumento associato a una terapia cognitivo comportamentale.

I miglioramenti sono stati controllati a distanza di 6 mesi, senza che questi abbiano subito sostanziali variazioni. Altri studi hanno dimostrato la stabilità del cambiamento ottenuto tramite la realtà virtuale anche dopo un anno (Anderson et al., 2013).


La realtà virtuale contro il bullismo

Ma le potenzialità delle nuove tecnologie e, in particolare, della realtà virtuale non si limitano a ciò. Il trend della psicologia infatti è sempre più quello di potenziale e non solo curare. In questo senso è molto interessante l’applicazione della realtà virtuale al potenziamento dell’empatia. Ciò si può ottenere facendo assumere al soggetto il punto di vista di una determinata categoria di persone, per esempio una minoranza sociale (studio Seinfeld et al.)., in questo modo sarà possibile aumentare la sua capacità di immedesimazione nella sofferenza e nel dolore altrui, incrementando di conseguenza anche la propensione ad atteggiamenti altruistici.




Potenziare l’empatia è fondamentale anche per contrastare il fenomeno del bullismo, di cui abbiamo parlato spesso; una delle più grandi piaghe della società umana e, in particolare, della scuola. Molti studenti arrivano ad abbandonare gli studi o a sviluppare dei veri e propri traumi di lungo periodo a causa delle vessazioni subite in aula, e questo perché sono esposti quotidianamente ai loro carnefici senza che spesso vi siano particolare tutele da parte di insegnati e da parte della scuola. Il bullismo è diffuso a tutti i livelli della società e consiste sostanzialmente nella sottomissione del più debole da parte del più forte. A volte però il bullismo viene messo in atto dal bullo senza rendersi veramente conto del dolore che si provoca nell’altro. Questo vale soprattutto per i bambini piccoli, per esempio quelli delle elementari. La capacità di empatizzare con l’altro è infatti una competenza psicosociale che viene sviluppata tendenzialmente tardi nella vita, ma può essere accelerata e potenziata tramite diversi esercizi e appunto nel fare questo ci si potrebbe avvalere in futuro, sempre di più, anche della realtà virtuale.


Conclusioni

L'utilizzo della realtà virtuale in ambito clinico potrebbe rivelarsi nei prossimi anni uno strumento fondamentale per aiutare gli hikikomori, dal momento che permette loro di sperimentare la socialità, affrontando le proprie paure, senza necessariamente allontanarsi dall'abitazione. Sfruttando la tecnologia del metaverso si potrebbero inoltre creare delle comunità digitali dove i ragazzi e le ragazze in isolamento sociale possono frequentarsi, come un primo step per poi riuscire a trovare il coraggio di conoscersi anche dal vivo.

Psicologo
Presidente fondatore Hikikomori italia


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