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Dipendenza da videogiochi: meccanismi e criteri diagnostici


Post di Marco Crepaldi

Più volte in questo blog è stata rimarcata la differenza tra l'isolamento sociale che caratterizza gli hikikomori e quello causato da una dipendenza tecnologica, videogame compresi. Nel presente articolo voglio però soffermarmi sui possibili punti di sovrapposizione esistenti tra i due fenomeni, i quali, pur rimanendo distinti, possono talvolta alimentarsi tra loro.

Gli hikikomori, infatti, sono spesso videogiocatori assidui e non è raro che arrivino ad abusare del mezzo. Il videogioco approfitta del loro stato di fragilità facendo leva su istinti umani primari e stimolando quei meccanismi psicologici che si trovano alla base delle dipendenze.



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Perché i videogiochi creano dipendenza?



Il sistema di ricompense


In psicologia si definisce "rinforzo positivo" quando un'azione viene ricompensata con una sensazione piacevole e siamo quindi incentivati a compierla nuovamente, più e più volte, finché non ne saremo assuefatti. Si tratta di un meccanismo umano che funziona tanto nella vita reale, quanto nei videogame, con la differenza che in questi ultimi ne troviamo una versione semplificata, dove la correlazione azione-beneficio è più nitida e facilmente quantificabile.

Per esempio, se compiendo un salto otteniamo in cambio dieci monete, sappiamo esattamente lo sforzo che ci viene richiesto e l'entità del guadagno: si tratta di un contratto chiaro e senza scherzi. Il rinforzo positivo è immediato e saremo quindi stimolati a ripetere l'azione in cerca di rapide, sicure e costanti sensazioni di piacere.

In quasi tutti gli ambiti della vita, invece, non funziona così: i guadagni che riceviamo in cambio dei nostri sforzi sono più indefiniti, con una relazione causa-effetto non sempre lineare e misurabile. Possiamo studiare mesi per un esame e non passarlo, provando la sensazione di aver fatto tanti sforzi senza ottenere nulla in cambio. In questo caso il rinforzo positivo viene meno, eppure siamo comunque chiamati a perseverare. Questo significa che, per raggiungere un obiettivo nel quotidiano, dobbiamo avere una motivazione intrinseca nel perseguirlo, una motivazione che vada al di là del puro piacere edonico e immediato.


L'incompletezza


Uno dei meccanismi che sfruttano i videogame di nuova generazione per creare dipendenza consiste nell'impedire all'utente di completare l'esperienza di gioco al 100%. In che modo? Attraverso almeno due meccanismi: il rilascio costante di aggiornamenti ed espansioni, che variano e amplificano la versione precedente del videogioco, e il sistema degli achievement, ovvero obiettivi secondari particolarmente complessi da raggiungere, che permettono di sbloccare bonus speciali.

Spesso tali achievement richiedono azioni routinarie e ripetitive, talvolta frustranti per il videogiocatore. Il bisogno su cui fanno leva è quello della completezza, sensazione tanto appagante, quanto effimera e illusoria, responsabile anche della crescente tendenza al perfezionismo registrata nelle nuove generazioni.


La competizione


Con l'avvento dei giochi online è nata anche la possibilità di comparare la propria performance videoludica con quella di altri giocatori. In questo caso l'istinto che viene stimolato è quello competitivo: il bisogno di primeggiare sugli altri genera dipendenza nella misura in cui alimenta l'autostima e genera, di conseguenza, sensazioni piacevoli che fungono da rinforzo positivo all'azione.

Curioso notare come gli hikikomori, proprio coloro che fuggono dalla competizione sociale, ricerchino insistentemente il confronto virtuale, in un meccanismo che potrebbe sembrare compensatorio o irrazionale. In realtà le due tipologie di competizione sono differenti e la discriminante risiede nel diverso coinvolgimento identitario: come esseri umani, infatti, abbiamo tante identità quanti sono i contesti sociali frequentati, e un videogioco online è uno di questi. Quando subiamo una sconfitta in un mondo virtuale, è quella nostra specifica identità che ne risente, quando invece sperimentiamo un fallimento o un insuccesso a livello sociale, l'impatto sulla nostra auto-percezione è maggiore poiché legato all'immagine pubblica.



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Quando si può parlare di dipendenza?


I meccanismi sopracitati non si innescano casualmente, ma sono appositamente studiati dalle case produttrici di videogames. Ciò significa che mentre c'è una parte di mondo che cerca di capire come combattere le dipendenze, c'è un'altra parte che, contemporaneamente, studia come indurle.

Di recente l'Ordine Mondiale della Sanità ha inserito il Gaming Disorder tra le psicopatologie ufficialmente riconosciute. Contestualmente a tale decisione, ha indicato tre criteri per distinguere la dipendenza vera e propria da un semplice abuso. La discriminante non è il tempo che si trascorre giocando, bensì la tipologia di relazione che viene a crearsi con lo strumento.

Si può parlare di dipendenza da videogame quando il giocare:
  • impatta negativamente sulla propria sfera personale, sociale e familiare; 
  • esercita sul videogiocatore un bisogno difficilmente governabile;
  • prende il sopravvento fino ad annullare gli altri interessi della vita. 


Dipendenza da videogame e hikikomori


Gli hikikomori sono spesso assidui videogiocatori, eppure raramente rientrano nei criteri descritti dall'OMS.

Per loro il giocare ai videogame, così come il navigare su internet, rappresenta uno strumento di intrattenimento, di distrazione e di comunicazione con il mondo esterno. Non è il videogioco a creare un vuoto negli interessi: nel loro caso la perdita di senso e di significato si trova a monte. Al contrario, attraverso il videogioco tentano proprio di colmare un vuoto.

Ciò significa che, se privati del videogioco, il loro vuoto non scompare, anzi, rischia di aggravarsi.

Presidente e fondatore "Hikikomori Italia"



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